 |
Il colore viola
di
Rinaldo Battaglia *
Durante il nazismo del Terzo Reich e da noi il fascismo, ovviamente per la criminale ideologia che questi regimi praticavano, anche i Testimoni di Geova vennero colpiti. Qui più che per motivi di patrimonio - le proprietà degli ebrei furono la prima causa della Shoah, per la regola fondamentale che ogni guerra nasce per scopi di denaro - ad infastidire e preoccupare i nazifascisti era essenzialmente la visione ‘non nazionalista’ e antimilitarista che i Testimoni di Geova professano con convinzione e con molto proselitismo. Una bestemmia, un’eresia per i figli di Hitler e di Mussolini.
E sebbene i Testimoni di Geova fossero pochi di numero furono ugualmente oggetti di violenze, arresti, sterminio nei lager. Eppure, erano veramente, veramente pochi. In Germania durante il regno di Hitler tra 20 e i 25 mila, in Italia quasi inesistenti. Secondo le fonti da noi variavano allora da un minimo di 100 ad un massimo di 250 seguaci. Un quasi nulla se rapportato alla popolazione (Dodecaneso, Istria e Dalmazia allora comprese) di 45 milioni di italiani.
Eppure, erano una minaccia anche loro al regime e il regime se ne occupò. Inizialmente – prima della guerra del ’40 e dopo le leggi fascistissime del 1926 – è documentato che 83 Testimoni di Geova vennero arrestati e mandati al confino e/o nei campi di concentramento/internamento per motivi ‘religiosi’. Con la guerra e le nostre invasioni in Grecia e Jugoslavia, per tacitare le prime forme di protesta altri 26 Testimoni di Geova (uomini e donne) vennero processati (per modo di dire) e in fretta condannati dal Tribunale speciale fascista al carcere (mediamente dai 5 ai 10 anni cadauno). Il loro reato? Avere propagandato e diffuso testi e pubblicazioni bibliche ‘contro la guerra’ e, quindi, avere così offeso la dignità del Duce, del Re, del papa Pio XII e di Hitler.
In poco tempo vennero arrestate la comasca Maria Pizzato, Santina Cimorosi di Roseto degli Abruzzi e le sorelle Protti e messe in galera assieme a detenuti comuni, condannati ad esempio per omicidio. Riferendosi ad Albina Protti Cuminetti, una detenuta comune fece in quei giorni la seguente considerazione: “A lei che non vuole uccidere hanno dato undici anni e a me che ho ucciso mio marito ne hanno dati dieci…”.
A guerra finita Mariantonia Di Censo, anche lei condannata a undici anni di reclusione dal Tribunale Speciale solo perché Testimone di Geova, racconterà: “Non dimenticherò mai le parole del giudice istruttore al cancelliere: ‘Ho letto tutta la loro letteratura per vedere di che cosa si trattasse. Ho esaminato i 26 imputati. Sono tutti coerenti con sé stessi e sono tutti disposti a discolpare l’altro accusando sé stessi. La cosa non è grave come si pensava. I preti hanno fatto troppo chiasso”. Questo il clima del momento, con una religione di serie A (grazie anche al Concordato dell’11 febbraio 1929) e le altre fedi non degne di essere professate o vissute.
E quando non bastava il carcere o il campo di concentramento fascista si passava all’esperienza nei lager nazisti. Durante il ventennio in Italia e nei territori conquistati, come la ex-Jugoslavia e Albania, giova ancora ricordare che abbiamo istituito, aperto e mantenuto in vita quasi 400 campi di concentramento o, come li chiamavamo noi, di ‘internamento’.
E gli altri?
Il foggiano di Cerignola Salvatore Doria, detenuto nel carcere di Civitavecchia e poi di Sulmona, dove scontava undici anni inflittigli dal Tribunale Speciale Fascista il 19 aprile 1940 per ‘attività religiosa anti-nazionale’, venne più volte bastonato e picchiato a sangue in carcere, ad esempio, perché il 28 ottobre non festeggiava – grave, gravissima colpa - la ricorrenza fascista.
Fu come premio deportato a Dachau dove arrivò il 13 ottobre 1943 ricevendo il numero di matricola 56477. Qui dopo 3 mesi, il 6 dicembre, venne trasferito a Mauthausen e non si sa come riuscì a sopravvivere fino alla liberazione del 5 maggio 1945. Ma il lager ugualmente lo punirà nel fisico e neanche 5 anni dopo a soli 43 anni morirà, nel 1950.
Peggio ancora il caso di Narciso Riet, nato in Germania da genitori italiani, ma cresciuto in Italia e sin da giovane, soprattutto dopo l’8 settembre ’43, braccato da fascisti di Salò per la diffusione di pubblicazioni bibliche. Venne arrestato a Cernobbio e poi, con la solita ed immancabile complicità dei nostri, deportato a Dachau da dove, più volte torturato, non farà più ritorno.
Peggio ancora ovviamente in Germania, dove uno dei più noti oppositori di Hitler – stando alle attività della Gestapo e sebbene operasse solo e tassativamente con azioni ‘non violente’ – divenne August Dickmann. Faceva così paura che sarà il primo obiettore di coscienza e il primo Testimone di Geova ad essere giustiziato durante il regime nazista.
Il 15 settembre 1939 – 86 anni fa come oggi - e due settimane dopo l’invasione della Polonia e quindi l’inizio della Seconda guerra mondiale, August Dickmann, già incarcerato dall’ottobre 1937 nel lager di Sachsenhausen, fu portato davanti al plotone di esecuzione e fucilato di fronte a tutti gli altri prigionieri. Tra cui altri testimoni di Geova, tutti marchiati col triangolo viola, come era in obbligo in tutti i lager per ordine di Himmler. E tra questi ‘spettatori obbligati’ anche il fratello Heinrich Dickmann.
Documenti provano che a comandare quel plotone di esecuzione sia stato un nazista doc, destinato a veloce carriera: Rudolf Höß (Höss), allora aiutante di Hermann Baranowski, il comandante di Sachsenhausen. Rudolf Höß il 4 maggio successivo sarà promosso al comando di Auschwitz.
August Dickmann quando venne ucciso aveva solo 29 anni. Ma faceva paura. Non aveva fatto grandi studi, lavorava essenzialmente in una segheria, ma era dotato di forte carisma e grande onestà interiore. In breve, dopo che nel 1932 a 22 anni, aveva intrapreso lo studio biblico con altri testimoni di Geova, lo avevano seguito anche i fratelli Heinrich e Fritz. Ma dopo il 30 gennaio 1933 con la presa del potere di Hitler, tutte le azioni e le attività di proselitismo dei Testimoni di Geova in Germania, furono vietate. Ma August Dickmann non poteva fermarsi ed in breve divenne il riferimento, la guida, di tutti gli altri.
I nazisti inizialmente non capirono la portata e il carisma di August e così si accontentarono ‘solo’ di spedirlo già due anni dopo (1935) nel campo di concentramento di Esterwegen. Poi visto che la sua ‘attività’ non si fermava nemmeno dentro il lager, questa volta fu la Gestapo ad intervenire in prima persona e venne mandato in uno dei peggiori lager per oppositori del regime, il ‘numero uno’ prima della guerra, quello appunto di Sachsenhausen, il fiore all’occhiello per Himmler. Punendo ed eliminando August Dickmann, si voleva punire ed eliminare il pericolo del ‘triangolo viola’, sebbene fossero neanche 25 mila, forse poco più di 20 mila.
Non fu causale, pertanto, che dal 16 settembre 1939, il giorno dopo, la radio tedesca più volte passò la notizia della sua fucilazione. Lo stesso fecero i giornali, ovviamente tutti in mano al regime, con le consuete parole di propaganda:
«Esecuzione di due sabotatori della Nazione. Comunicato del capo delle SS. Il capo delle SS e capo della polizia tedesca comunica: ... il 15 settembre 1939 per aver rifiutato di svolgere le sue funzioni di soldato, August Dickmann, nato il 7 gennaio 1910, Dinslaken. Dickmann si è dichiarato Testimone di Geova, fanatico seguace della setta degli Studenti Biblici.»
La notizia arrivò anche negli USA e ripresa per primo dal New York Times:
«La Germania giustizia un obiettore di coscienza. Berlino, 16 settembre. Il primo obiettore di coscienza tedesco di questa guerra, August Dickmann, 29 anni, di Dinslaken, accusato di "sabotaggio", è stato fucilato. L'annuncio della sua esecuzione è stato fatto da Heinrich Himmler, capo della polizia tedesca, in questi termini: "è stato fucilato per aver rifiutato di compiere il suo dovere di soldato" per motivi di coscienza religiosa. Dickman sosteneva di essere un membro dei Testimoni di Geova e del movimento internazionale di Rutherford.»
La notizia ovviamente non toccò l’Italia e tanto meno non intervenne la Chiesa tedesca a quel tempo – salvo rari casi di eccezione come il santo vescovo di Münster, Clemens August von Galen (ma pubblicamente dal 6 agosto 1941, non risulterebbe prima) – fermamente muta ed ufficialmente in silenzio. Come a Roma, lato Vaticano. Non a caso dirà anni dopo il grande Enzo Biagi: “Nel cinturone dei soldati del Führer c'era scritto 'Gott mituns', Dio è con noi. Hitler lo aveva arruolato; per fortuna disertò.”
Dio e la religione da sempre usati per propaganda e per fare guerre. È cambiato qualcosa oggi, da quel 15 settembre 1939, quando un uomo di 29 anni col triangolo viola venne giustiziato perché – per le sue idee di non-violenza, antimilitarismo, non-nazionalismo, la sua opposizione alla guerra in quanto guerra - faceva paura al potere di allora?
Sembra quasi che in quel giorno di metà settembre a vincere sia stato ’il colore nero’ e a perdere non solo ‘il colore viola’. Ma quel che è peggio purtroppo risulta che noi, uomini di 86 anni dopo, non siamo nel frattempo per nulla migliorati.
“Nel cinturone dei soldati del Führer c'era scritto 'Gott mituns', Dio è con noi. Hitler lo aveva arruolato; per fortuna disertò.”
15 settembre 2025 – 86 anni dopo – Liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Terza Parte” - Amazon – 2025
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
Dossier
diritti
|
|