 |
Santa Maria Capua Vetere, inferno carcere
di Francesco P. Esposito *
Genuflesso dai colpi di manganelli che mi hanno tolto il fiato e piegato le gambe, sento il cuore come un colpo di pistola che esplode nei timpani frantumati.
Ho un piede scalzo, solo uno. L'altra ciabatta di plastica è scivolata nel buio quando sono venuti a prendermi. La ritroverò mai? Come farò a tornare in cella? Ora quel piede scalzo è tutta la solitudine del mondo.
Una tonnara di schiaffi, pugni, sputi e disprezzo celebrano una violenza inaudita e primordiale. Sono sopra di me, di noi, sopra ogni cosa, dalla parte esatta del lato oscuro del cuore.
La stanza è zuppa dell'odore giallo della paura, macilenti sorrisi d’inferriate macchiate di sangue rappreso e pianti graffianti hanno scheggiato ogni cosa tutt'attorno.
In questa prigione le sbarre non sono solo arrugginite, rivestite del tenero acciaio lasciato in eredità dai tempi delle carceri d’oro; arrivate glabre dalla fonderia, hanno ora la superficie disseminata d’ammaccature, segni di colpi inferti da teste, ginocchia, gomiti, tacche di molari, tracce di sangue.
Una mascherina per poter tornare a rivedere i nostri cari: solo questo volevamo!
Ma anche i diritti più semplici non esistono qui nel mondo di sotto, seppellito oltre muri di cinta.
***
Santa Maria Capua Vetere, inferno carcere: cosa è accaduto nel frattempo?
* Criminologo forense, Componente del Comitato Tecnico-Giuridico dell'Osservatorio
 
Dossier
diritti
|
|