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Non potevo sparare a un uomo ferito
di
Rinaldo Battaglia *
All’alba del 28 settembre 1918 iniziò - per gli storici - il secondo giorno della terribile battaglia di Cambrai-San Quintino, dove i soldati dell’Impero britannico e quello francese si sfidarono a morte contro i tedeschi trincerati nella linea Hindenburg. Lo scontro finirà, di fatto, solo il 9 ottobre 1918 e sancirà la sconfitta delle armate del Kaiser, costrette alla resa poi l’11 novembre successivo.
Tutti i soldati da ambo le parti, lì costretti a combattere, vissero la giornata precedente sotto il continuo frastuono dei mortai e dei cannoni, senza pause, senza limiti. Sangue e morte dappertutto. E ogni buca causata dalle bombe – amiche o nemiche non importava – era usata come rifugio. Anche se condivisa col fango e coi topi, gli unici che si trovavano a loro agio in quell’inferno.
Avere paura era normale e ad ogni colpo ci si buttava pancia a terra dentro la buca più vicina. Se la trovavi e se ci arrivavi prima di essere colpito.
E il giorno dopo sembrava ancora peggio.
In quel mattino di fine settembre e di fine mondo, toccò anche al caporale Henry Tandey nelle trincee di Marcoing. Da bambino aveva vissuto per anni in un orfanatrofio visto che il lavoro del padre - uno scalpellino – non riusciva a mantenere tutta la famiglia, in quegli anni di miseria e di fame. Aveva finalmente trovato una sua occupazione come addetto alle caldaie di un albergo di Leamington, quando la guerra lo chiamò a sé.
E alla prima bordata assordante di mortai quella mattina Henry si buttò, terrorizzato, dentro la prima buca.
Quasi contemporaneamente fece anche un altro soldato, stessa faccia spaventata, stesso dolore, stessa paura ma 'con la divisa di un altro colore'. Era ancora più disperato di Henry, più tremante per quanto fosse possibile, forse perché anche ferito in quel momento alla coscia sinistra da una scheggia di granata. Stessa buca, stesso destino, stessa disperazione ma si era nemici. Era tedesco. E quindi ognuno doveva uccidere l’altro.
È la legge della guerra. Perché se non lo fai subito tu – come Piero nella canzone di Fabrizio De Andrè – sarà l’altro a spararti. Ma qui Henry aveva un vantaggio perché il nemico in quel momento non possedeva in mano il fucile, forse perduto forse caduto buttandosi nella buca. E non era poco in quel momento.
Ma Henry non era un soldato di professione, era partito volontario perché così era gli era stato garantito un pasto ogni giorno. Era da 4 anni in guerra e oramai di uccidere e veder morire non ne poteva più. Anni dopo lo dirà con molta onestà:
“Non potevo sparare a un uomo ferito, così l'ho lasciato andare...”.
Passato il momento, alla prima immediata pausa dei mortai, Henry uscì dalla buca di corsa e scappò verso gli altri suoi commilitoni. Non vedrà più quel soldato tedesco dal vivo, ma un giorno qualcuno - e non pochi – dei suoi connazionali lo stramalediranno per quel suo atto di inusuale umanità nella guerra di trincea.
Si deve sapere infatti che 20 anni dopo la battaglia di Cambrai-San Quintino, nei primi giorni del settembre 1938, l’allora premier inglese, Arthur Chamberlain, ricevette una lettera ufficiale di saluti da parte di Adolf Hitler. Il Führer voleva infatti tenerselo caro in vista dell’incontro organizzato a Monaco per fine mese.
È noto, infatti, che tra il 29 e il 30 settembre 1938 Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia si accordarono per ‘evitare’ la guerra – una nuova guerra – permettendo ai tedeschi di occupare ed annettersi buona parte della Cecoslovacchia (la zona più industriale e ricca, quella dei Sudeti). Tutti furono alla fine soddisfatti e convinti che le pretese di Hitler non andassero oltre. Ovviamente sbagliandosi di grosso anche perché il ‘garante’ dell’operazione doveva essere il nostro Duce, con cui pochi mesi dopo Hitler firmerà il Patto di Acciaio, aprendo di fatto la strada alla Seconda Guerra Mondiale.
Ebbene in quella lettera ‘amichevole’ di Hitler a Chamberlain, il Fuhrer ringraziò quel caporale inglese che nelle trincee di Marcoing non lo aveva ucciso, quando avrebbe tranquillamente potuto. Anzi avrebbe dovuto per le leggi della guerra. Hitler aveva riconosciuto e identificato il suo salvatore in Henry Tandey, grazie ad una foto comparsa su più giornali inglesi quando anni prima questi – assieme a suoi commilitoni nella battaglia di Cambrai-San Quintino – era stato decorato personalmente dal re Giorgio V il 17 dicembre 1919 nel primo anniversario della vittoria inglese.
La notizia fece subito clamore e soprattutto nel 1940 quando con l’operazione Leone Marino ogni notte gli aerei della Luftwaffe bombardavano le città inglesi massacrando migliaia di civili innocenti. In breve, l’ex caporale Henry Tandey – oramai alle soglie dei 50 anni e da tempo congedato dalla vita militare – si sentì sotto sotto accusato di aver salvato dalla morte – quando poteva – quello che sarebbe diventato il terrore del mondo e il più grande criminale ed assassino mai esistito sulla terra.
Lo dirà più volte, quasi scusandosi per quel suo atto di umana pietà nelle trincee di Marcoing, in particolare nell’inverno 1940 (10 dicembre) un’intervista al Sunday Graphic. E lo fece da uomo, senza odio ma con franchezza: “avessi saputo allora cosa sarebbe diventato quel caporale! Ora, davanti a tutti questi morti e feriti di Coventry, Dio sa quanto mi dispiace averlo risparmiato. Ma non potevo sparare a un uomo ferito, così l'ho lasciato andare...”.
E sarà proprio a Coventry che Henry Tandey, il caporale buon samaritano, vivrà dopo la guerra fino al dicembre 1977 quando all’alba dei suoi 86 anni chiuderà gli occhi. Era stato un uomo prima che un soldato e la cosa non può essere una colpa.
Cosa dovremmo dire allora noi del bersagliere Giuseppe Mastromonaco, che il 23 febbraio 1917 durante un’esercitazione di tiro col cannoncino, sul Carso vicino a Doberdò poco lontano da Caporetto, salvò dalla morte un altro bersagliere dell’11esimo regimento, 23° battaglione quinta compagnia. Questi era stato accidentalmente “investito da una raffica di schegge e proiettato parecchi metri lontano”. Era “grave, aveva molte ferite, sanguinante e semisvenuto” e solo l’intervento deciso ed immediato del compagno fece sì che non morisse dissanguato (alla fine si contarono comunque cinque soldati uccisi in quell’esercitazione).
Quel ferito poi guarì, non andò più al fronte, era assente nella disfatta del 24 ottobre e, mentre molti suoi commilitoni finirono in frammenti a Redipuglia, si salvò dalla guerra. Cinque anni dopo diventerà il Duce e il suo destino si legherà strettamente a quello dell’altro miracolosamente sopravvissuto grazie al caporale Henry Tandey e al suo comandamento: “non potevo sparare a un uomo ferito, così l'ho lasciato andare...”
6 settembre 2025 – 107 anni dopo la battaglia Cambrai-San Quintino
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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