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42000 proteste pro-Pal in Europa in un anno
di Marilina Mazzaferro
In meno di un anno, l'Europa ha assistito a 42.000 proteste a sostegno della Palestina. Questo fenomeno non rientra nella categoria di una "espressione temporanea di rabbia", ma piuttosto indica un cambiamento qualitativo che segna l'emergere di una nuova consapevolezza, che trascende la protesta tradizionale per costruire una contro-narrativa.
La storia ci insegna che la ripetizione quantitativa, quando si accumula con tale slancio, si trasforma in una forza simbolica in grado di rimodellare il posto di una questione nella coscienza collettiva. Pertanto, dopo questa ondata di proteste senza precedenti e travolgente, la Palestina non è più solo un dossier di politica estera o una causa lontana, ma è diventata il cuore del dibattito europeo su valori, giustizia e diritti umani.
Le 42.000 manifestazioni sono più di una semplice somma aritmetica: costituiscono di per sé un'affermazione. Questa cifra indica che la causa palestinese è penetrata con successo nella vita quotidiana europea, materializzandosi nelle piazze, nei campi e nelle vie principali di capitali a lungo descritte come prigioniere della narrazione israeliana. Possiamo quindi interpretare questo numero su tre livelli:
Un livello di intensa partecipazione: la Palestina si è trasformata da una causa relegata nel dibattito pubblico, soggetta a esclusione ed emarginazione, in una bussola morale per la protesta che attrae il più ampio spettro di attori: partiti, sindacati, organizzazioni per i diritti umani, studenti universitari, e influenza in modo dimostrabile il processo decisionale (il cambiamento di rotta europeo sulla questione del riconoscimento di uno Stato palestinese potrebbe essere un buon esempio in questo senso).
Un livello di continuità: le manifestazioni non sono state semplicemente un'esplosione iniziale di rabbia rapidamente esaurita, ma sono proseguite per mesi, riflettendo una nuova consapevolezza non più legata a una reazione momentanea.
Un livello di diversità: cittadini europei di diversa estrazione politica e culturale hanno partecipato, trasformando la causa palestinese in un punto d'incontro che trascende le divisioni ideologiche.
Per quasi ottant'anni, Israele si è presentato con successo in Europa come una "piccola democrazia circondata da nemici", mentre la Palestina è stata dipinta come un problema di sicurezza o un peso per la stabilità regionale. Tuttavia, le scene del genocidio di Gaza, dei quartieri distrutti, dei massacri di civili, della fame, dell'uccisione deliberata di bambini e dei bombardamenti di ospedali e scuole hanno completamente capovolto questa immagine.
Così, le proteste in Europa sono diventate un teatro per raccontare la causa basandosi sulle sue verità originarie, lungi dall'essere una notizia lontana, e più vicine a emergere come una storia di umanità e di lotta per i diritti, narrata attraverso le immagini delle vittime, le voci dei sopravvissuti e le testimonianze dei giornalisti che hanno pagato con la vita per trasmettere la verità.
Mentre i media europei tradizionali hanno per anni teso verso un falso equilibrio o una parzialità nascosta a favore di Israele (qualcosa di chiaramente percepibile da chi lavora nelle istituzioni mediatiche occidentali), la piazza europea ha iniziato a forgiare una consapevolezza diversa in cui il dibattito non si limita più al "diritto di Israele a difendersi", cui viene dato ampio spazio mediatico, ma comincia ad includere il tema del diritto dei palestinesi alla vita smascherando i doppi standard. E la Palestina non è più solo una causa che riguarda solo arabi e musulmani; è diventata un banco di prova per i principi stessi dei diritti umani e della democrazia che l'Europa afferma di difendere.
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