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04 settembre 2025
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Artisti per Gaza: meglio tardi che mai
di Alessandro Negrini e Angelo D'Orsi

In molti, in questi giorni, ci hanno chiesto - anche in quanto ideatori di GazArt – Artisti e intellettuali per Gaza - cosa pensiamo degli artisti e degli intellettuali che solo ora, dopo due anni di genocidio, trovano la voce per parlare di Gaza.

È a questa domanda, non semplice ma inevitabile, che con queste righe proviamo a rispondere.

Un anno e mezzo fa, quando non la parola Genocidio, ma la stessa parola Gaza sembrava impronunciabile e nessuno osava denunciare apertamente ciò che stava accadendo, decidemmo di rompere quel silenzio assordante ideando e organizzando con GazArt - Artisti e intellettuali per Gaza, un appello che divenne evento spettacolo al Teatro Villa Lazzaroni a Roma.

Fu un'impresa non da poco, e per farla dovemmo mettere da parte impegni di lavoro per dedicarci completamente a questa impresa, oltre alle conseguenze tra le quali inviti a festival annullati, proiezioni saltate e via dicendo.

La censura fu implacabile: nonostante un comunicato ANSA a tutte le testate e un ufficio stampa, nessun giornale, nessuna televisione diede spazio all’iniziativa, con l'eccezione de Il Fatto Quotidiano e una vignetta di Maicol & Mirco su Il Manifesto.

La stragrande maggioranza degli artisti ci ignorò, registi inclusi. Un regista, oggi in prima fila a parlare di Gaza, ci rispose che non firmava l’appello perché “tanto non avrebbe potuto essere sul palco in presenza”. Tutti gli altri, non pervenuti.

Eppure qualcuno ci fu. Pochi. Ma con grande generosità e grande coraggio salirono sul palco nella serata GazArt al teatro Villa Lazzaroni a Roma: Laura Morante, Massimo Wertmüller, Daniela Poggi, Arianna Porcelli Safonov, David Riondino, Laura Frascarelli, Maria Libera Ranaudo, Lucio Matricardi, Spartaco Ripa, Ascanio Celestini, Giuseppe Cederna, Barbara Scoppa, Simone Paglialunga, Carla Carfagna, Raffaele Crocco, Moni Ovadia, oltre a tanti artisti e intellettuali che aderirono pur non potendo partecipare a teatro in presenza.

A loro rimarrà per sempre il nostro grazie vero: usare la voce quando regna il silenzio totale è sempre l'atto più alto e difficile.

Oggi, oltre un anno e mezzo dopo, la situazione è cambiata.
Sono saltati quasi tutti i coperchi: persino le TV di destra mostrano servizi sugli eccidi di Israele, le sue violazioni, la sua pulizia etnica dichiarata con commenti costernati.
È più semplice parlare. Tanti usano ancora mezze parole, altri finalmente condannano con fermezza, anche nel mondo dell'arte e della cultura, il genocidio del palestinesi.

È un pensiero amaro: se tutti si fossero svegliati due anni fa, forse qualcosa si sarebbe mosso prima, e le mani libere che Israele ha sentito di avere, anche grazie al silenzio internazionale, avrebbero potuto incontrare una pressione diversa e anticipata.

Ma alla fine, meglio tardi che mai. Perché la lotta non è mai esclusiva, non un circolo ristretto: accoglie anche i ritardatari estremi. Conta la direzione in cui si cammina.

E allora la domanda è: meglio tacere, come ancora tantissimi artisti e intellettuali fanno, dedicandosi alla loro arte ed ego come se non ci fosse davanti a noi un genocidio? O meglio coloro che, tardissimo, si svegliano dal letargo di umanità?

E qui tornano alla mente le parole di Gramsci:
“L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare.”

Per questo ora, al punto estremo di abominio in cui siamo giunti, contano tutte le voci di ferma e decisa denuncia, e tutte le iniziative correlate vanno sostenute.

Non è più tempo di distinguo, di graduatorie di coerenza, di confronti su chi abbia parlato prima o con più coraggio. Ogni voce che, senza più esitazioni e con netta posizione, rompe il silenzio, incrina il muro dell’indifferenza, e diventa parte di una forza collettiva che non lascia più alibi a nessuno.

In un contesto in cui la realtà supera ogni misura dell’umano, ciò che conta non è la primogenitura, ma l’essere insieme, sempre di più, affinché la coscienza collettiva diventi pressione non solo su Israele ma sui nostri governanti, sempre più complice e collusi nella più grande premeditata carneficina del nostro tempo.

Alessandro Negrini e Angelo d'Orsi

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