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Siria: quale rivoluzione?
di Leandro Leggeri
La favolosa “rivoluzione siriana” che anni orsono qualcuno applaudiva come alba di democrazia e stato di diritto ci ha regalato Ahmad Sharaa (Julani): ex (?) al-Qaeda, oggi presidente autoproclamato e architetto di un sistema elettorale che neanche Mobutu o Idi Amin Dada avrebbero osato immaginare.
Non contento, ha già predisposto una costituzione provvisoria che gli garantisce il trono almeno fino al 2030. Altro che transizione.
Un terzo dei deputati se li nomina direttamente lui, gli altri due terzi passano attraverso un complicato gioco di scatole cinesi: commissioni locali e regionali, tutte ovviamente nominate da una commissione elettorale… che è stata nominata da Sharaa stesso.
Insomma, il popolo è finalmente "libero" di votare – tra candidati già approvati dal capo.
Si parla di “competenti” e “dignitari”. Tradotto: i “competenti” sono quelli che sanno dire subito! “bravo presidente” (tipo Fantozzi) senza nemmeno aspettare la fine del discorso; i “dignitari” invece sono i soliti notabili di provincia, pronti a portare in regalo pecore e datteri pur di tenersi la poltrona.
Certo, c’è la quota rosa al 20%: peccato che funzioni come il famoso “ministero per le donne” dei talebani — sulla carta esiste, nella realtà serve solo a fare scena.
E allora viene da chiedersi: era questa la “transizione” sognata? Dopo mezzo secolo di Asad e 14 anni di guerra civile, ecco il grande salto di qualità: una finta democrazia confezionata da un ex jihadista.
Complimenti a chi ci aveva venduto la rivoluzione come riscatto popolare: applausi, davvero.
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