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Vietnam: le donne resistenti
di Sergio Scorza
In una fotografia scattata nel 1972 nella foresta di Namkang, in Vietnam, il tempo sembra fermarsi. Un gruppo di guerrigliere avanza in fila indiana su un tronco stretto che attraversa le paludi. Non indossano uniformi né distintivi; la loro identità è celata dietro improvvisati veli bianchi.
Non era un gesto di vergogna, ma di resistenza. Il volto coperto significava protezione dall’inevitabile: se catturate e torturate, non avrebbero potuto tradirsi a vicenda. Il silenzio e l’anonimato erano il loro scudo.
Nella guerra del Vietnam, le donne ebbero un ruolo molto più decisivo di quanto la storia ufficiale abbia mai raccontato. Combatterono, trasmisero messaggi, si presero cura dei feriti e organizzarono la vita nella giungla.
Molte erano contadine che lasciarono i loro villaggi per addentrarsi nella foresta, animate da una determinazione che non tremava davanti ai fucili né ai bombardamenti.
Quell'immagine non è soltanto un ritratto di guerra. È la rappresentazione di una fratellanza forgiata nella clandestinità e nel pericolo, dove il sacrificio divenne quotidianità.
Dietro ogni velo c’era una storia: madri, figlie, sorelle che camminavano incontro a un destino incerto, convinte che la causa valesse più del loro nome.
Un monito che, nel caos della guerra, ci ricorda come ci furono anche donne che affrontarono l’oscurità con un gesto tanto semplice quanto potente: coprirsi il volto per proteggere gli altri.
Perché anche nella giungla, l’anonimato poteva trasformarsi in un atto di amore e di coraggio.
 
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