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Gideon Levy: Trump e Netanyahu meritano il premio genocidio
di Leandro Leggeri
In un editoriale tagliente pubblicato su Haaretz, il noto giornalista israeliano Gideon Levy ha puntato il dito contro il presidente USA Donald Trump, accusandolo di essere il principale responsabile non-israeliano del massacro in corso a Gaza.
Secondo Levy, mentre il governo Netanyahu continua a infliggere devastazione e morte nella Striscia, Trump resta immobile, “come se nulla stesse accadendo”, proseguendo a garantire fondi e armi a Israele. Per l’editorialista, il presidente americano potrebbe fermare l’ecatombe con un gesto politico netto, ma ha scelto di non farlo.
Con toni amarissimi, Levy ha scritto che se Netanyahu e Trump meritassero un premio, non sarebbe il Nobel per la pace ma uno ancora inesistente: il “Genocide Prize”. Una provocazione che mette in luce, senza giri di parole, la corresponsabilità tra Washington e Tel Aviv nel perpetuare l’assedio e lo sterminio del popolo palestinese.
Il Washington Post ha svelato i dettagli di un piano discusso alla Casa Bianca per il “giorno dopo” a Gaza. L’idea, sostenuta da Donald Trump e dal suo entourage, prevede di trasformare la Striscia in una sorta di “Riviera del Medio Oriente”, sotto amministrazione fiduciaria americana per almeno dieci anni.
Dietro la patina di “sviluppo” e “smart cities” si cela un progetto di svuotamento di Gaza dalla sua popolazione: oltre due milioni di persone verrebbero trasferite in “aree temporanee” o spinte ad emigrare all’estero con incentivi economici. A chi accetta di partire si promettono 5.000 dollari, quattro anni di affitto e un anno di sussidi alimentari. Un’offerta che suona più come un biglietto di sola andata verso l’esilio che come una vera opportunità.
La sicurezza rimarrebbe nelle mani dell’esercito israeliano, mentre i fondi per la ricostruzione arriverebbero da Stati Uniti e monarchie del Golfo. Ma nessuna menzione viene fatta al diritto all’autodeterminazione o alla nascita di uno Stato palestinese.
Molti osservatori denunciano il rischio di un trasferimento forzato di massa, che violerebbe il diritto internazionale e lascerebbe i gazawi senza patria né futuro.
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