 |
La lezione di Erich Eder
di
Rinaldo Battaglia *
A Mombaroccio, un piccolo paesetto sulle colline di Pesaro, un lunedì mattina di oramai 4 anni fa, il 20 settembre 2021 per la precisione, il giovane sindaco Emanuele Petrucci partì per una lunga corsa in bici. Destinazione Pfarrkirchen, in Germania, lontana 820 chilometri. Ci arriverà come previsto due giorni dopo, tra la soddisfazione sia delle genti del paese di partenza che soprattutto quello di arrivo.
Perché c’erano un altro viaggio da ricordare – in senso opposto, a dire il vero – datato allora 1953 e soprattutto un nome di un giovane ufficiale nazista, soldato di Hitler, che da 80 anni unisce la storia di due paesi, così lontani per la geografia ma molto vicini per il cuore.
Quel nome che unisce - strano a dirsi - è quello di un comandante della Wehrmacht: Erich Eder.
Oggi è ancora poco conosciuto, ma meriterebbe ben più pubblicità e maggiore notorietà, perché la sua storia è storia di vita, storia del cuore che rompe le regole imposte dall’alto, è storia di un soldato che decide di restare ‘uomo’, di non cedere all’indifferenza generale, di non far finta di nulla.
Edmund Burke un giorno parlando in generale della catastrofe della guerra disse: «È l’indifferenza che ha permesso quello che è successo». E parlava delle sue guerre, quelle di due secoli prima e tanto meno del crimine della Shoah. Evidentemente anche dopo tanti anni l’indifferenza resta il ‘veleno’ principale da combattere per fermare il ‘male’, da noi chiamato guerra.
E anche oggi – soprattutto da noi - dire ed esaltare chi non prestò indifferenza risulta una lama affilata nella coscienza di tutti coloro che non si opposero, che si voltarono dall’altra parte, che divennero nei fatti complici. Perché evidentemente si poteva fare o almeno tentare. Certo: facile dirlo oggi, ma in quegli anni non tutti fecero finta di nulla. Come Erich Eder.
Ma chi era allora Erich Eder? Semplice: il classico figlio del nazismo, classe 1924, costruito ed allevato per la guerra. A vent’anni lo troviamo in Italia, con gli altri nazisti ad insegnarci le conseguenze dell’8 settembre 1943 e del tradimento del Patto di Acciaio del 22 maggio 1939.
Nella tarda primavera del ’44, quale regalo per il suo compleanno (era nato il 5 aprile) venne promosso come ufficiale comandante della Wehrmacht sul fronte italiano a Mombaroccio, nel pesarese, poco dietro la Linea Gustav, quando gli alleati stavano sfondando e con la bava alla bocca puntavano a Roma. Ogni giorno per le truppe naziste era sempre più critico e ogni notte non mancavano bombe alleate sulle città, anche quelle periferiche se importanti nella strategia di guerra.
Fu qui a Mombaroccio che il giovane nazista Erich Eder si rese conto dell’assurda criminalità dell’ideologia nazifascista, che faceva del razzismo e dell’antisemitismo assi portanti del suo credo. Grande ‘colpevole’ della sua presa presa di coscienza va imputata all’amicizia che Eder fece con un semplice frate francescano, guardiano del locale convento di Beato Sante: Padre Sante Raffaelli. Fu Padre Sante a capire il cuore dell’ufficiale. A capire ed aprire quel cuore.
Dopo la Carta fascista di Verona del 17 novembre 1943 e le conseguenti leggi sulla deportazione degli ebrei anche in Italia i nostri connazionali ebrei erano disperati ed in fuga. I binari 21 risultavano operativi e i viaggi verso Auschwitz bene organizzati. Padre Sante Raffaelli aveva fatto, in quel periodo, del convento di Beato Sante a Mombaroccio un rifugio e un nascondiglio, dove ogni fuggiasco trovava aiuto e protezione. Alla fine, si parlerà di oltre 300 persone salvate, donne e bambini soprattutto. Molti gli ebrei. Ma non solo ebrei.
Padre Sante Raffaelli aveva ospitato e, fino allora, salvato anche la numerosa famiglia di Alfredo Sarano, il segretario della Comunità ebraica di Milano, fuggito ricercato da nazisti e fascisti dopo aver nascosto le liste dei circa 14 mila ebrei milanesi. Se fossero cadute nelle mani degli uomini di Mussolini (quelli della Ettore Muti e della X Mas di Junio Valerio Borghese, in primis) e di Hitler sarebbe stata una catastrofe ancora peggiore. Di certo anche peggiore di quanto avvenuto a Roma il 16 ottobre 1943.
Fu inevitabile che il comandante Erich Eder non venisse a conoscenza dell’attività segreta di padre Sante a Mombaroccio, fu inevitabile ma decise di andare controcorrente. Lui e, con lui, tutti i suoi subalterni. Parlò spesso con Padre Santo Raffaelli, si fece spiegare e non solo.
Promise il suo silenzio, promise che non avrebbe arrestato nessun ebreo e che si sarebbe dato da fare in prima persona per salvare tutte quelle persone. E non deve essere stato facile tenere a bada i fanatici del Terzo Reich e di Mussolini, quando il ‘commercio di carne ebrea’ era bene in vigore, stimolato, favorito, protetto. Chi ‘vendeva’ un ebreo incassava quanto un anno di lavoro (5.000 lire un uomo, 3.000 una donna, 1.500 un bambino quando – lo ricordo ancora una volta – un salario medio annuo era di 4.238 lire).
Il 25 agosto 1944 - 81 anni fa - tutta Mombaroccio, e quindi anche il convento, fu oggetto di un pesantissimo bombardamento alleato. Ma mentre i soldati di Hitler tentavano la fuga verso le colline, il giovane comandante Eder cercò di aiutare Padre Santo Raffaelli a salvare i frati e gli ‘ospiti’ lì rifugiati, oltre alle altre case del paese.
Lavorò come gli altri del posto, con qualche suo soldato nazista che lo ascoltava e silenzioso lo imitava. Solo dopo tre giorni, il 28 agosto 1944, a lavori finiti e con gli alleati in arrivo poco lontano lasciò il paese, ad emergenza oramai superata.
Ma non solo questo. Si racconta che in quei giorni Erich Eder si legò fortemente a Padre Sante e – temendo che, prima o poi, il suo ‘ruolo’ sarebbe venuto a galla, nell’ambiente nazista così fanatico e criminale – gli lasciò prima di andarsene, in quel 28 agosto di 80 anni fa, una lettera dove gli chiedeva, nel caso non fosse sopravvissuto alla guerra, di informare per bene la sua famiglia.
Voleva che sua madre sapesse che, malgrado la divisa indossata, aveva seguito il suo cuore, la sua coscienza, di avere coi fatti messo in pratica i concetti cristiani che lei le aveva insegnato a parole. Malgrado tutto, malgrado il nazismo, malgrado Hitler. Lo aveva fatto con convinzione e ne era pienamente soddisfatto.
Aveva in quei giorni solo 20 anni, un ragazzo, ma sembrava molto più uomo di chiunque altro. Poi sotto sotto si era promesso che, se sarebbe tornato a casa vivo, appena fosse stato in grado sarebbe dalla sua Pfarrkirchen, dalla sua Baviera, la culla del nazismo, ritornato in bicicletta a pregare in quel convento e a salutare quel paese in collina.
Arrivarono finalmente poco dopo gli alleati e i tedeschi tutti in fuga verso nord, fino alla resa nazista di inizio maggio 1945.
Del giovane comandante Erich Eder non si seppe più nulla. Poi una mattina dell’estate ’53 quasi di nascosto un ciclista arrivò nel convento di Beato Sante. Una breve preghiera e poi via di nuovo, ma qualcuno lo vide ugualmente e a Mombaroccio più di uno si ricordò di quella promessa e ringraziò Dio per aver salvato dalla guerra quell’ufficiale nazista, quel ‘nemico controcorrente’. Non meritava di morire per la guerra. Si era guadagnato la vita.
Non si seppe più nulla se non che Erich Eder morì a 74 anni nel 1998 e che in Germania durante la guerra anche la sua famiglia – la madre in particolare - aveva salvato dalla deportazione nazista altre famiglie ebree, tra cui quella di Betty Greif. Evidentemente gli insegnamenti della madre non erano solo a parole. Erano assi portanti del loro modo di vivere, non solo nozioni di pura teoria.
Passarono molti anni, Mombaroccio cambiò pelle e dimenticò i fatti dell’estate 1944. Se ne andò anche Padre Sante Raffaelli e anche la famiglia Sarano. I contadini di allora a poco a poco partirono verso il Cielo e pochi dei loro figli furono informati che la loro salvezza era dovuta al coraggio di un frate, alla tenacia contadina del momento e alle scelte controcorrenti di un giovane ufficiale nazista.
Ma la memoria – come diceva Primo Levi – è come il mare: può restituire brandelli di rottami a distanza di anni. Basta saperli cogliere. Cosa non facile, soprattutto oggi in Italia.
Dio volle che nel 2011 un attento giornalista, Roberto Mazzoli, in un viaggio di lavoro ebbe modo di conoscere le sorelle di Alfredo Sarano. Il vecchio segretario della Comunità ebraica di Milano se ne era andato dall’Italia ancora nel 1969 – probabilmente deluso dell’Italia post-fascista – e si era fermato con l’intera famiglia in Israele, dove il 2 aprile 1990 era deceduto.
Le sorelle Sarano vollero consegnare al giornalista il diario personale del fratello, dove bene si descrivevano quei giorni di Shoah italiana. Mazzoli fu talmente colpito da quella vicenda che volle cercare notizie di quel giovane ufficiale nazista controcorrente. Arrivò alla sua Pfarrkirchen, nella sua Baviera, la vecchia culla del nazismo e conobbe persino i figli di Erich Eder.
Ne farà un libro: “Siamo qui siamo vivi - il Diario di Alfredo Sarano e della famiglia scampata alla Shoah” edito da San Paolo con prefazione illustre di Liliana Segre.
Pochi anni dopo, grazie all’intervento soprattutto dei cittadini di Mombaroccio, il 6 marzo 2021 il nazista tedesco Erich Eder è stato onorato al Giardino Virtuale dei Giusti del Monte Stella di Milano (Gariwo). A ritirare la pergamena in onore di Eder vi era il sindaco di Mombaroccio, Emanuele Petrucci, in rappresentanza di tutti coloro che soffrirono e sopravvissero in quel tragico momento.
Fu lì che si venne a sapere del viaggio dell'ex-ufficiale nel ’53 e così nacque la volontà di ripeterlo in senso opposto, per unire i due paesi, come fosse quel nome – Erich Eder - un cordone ombelicale tra il passato ed il futuro, tra le regole ferree della guerra e l’umanità che talvolta le infrange. Il viaggio, pertanto, del sindaco Petrucci fino al municipio di Pfarrkirchen, dove l’altro sindaco Wolfgang Beißmann lo aspettava, stava a significare che, se la guerra divide, l’amore salva e unisce.
E fu lì, in quel municipio, che il 22 settembre 2021 quella pergamena di Gariwo venne consegnata personalmente ai figli di Erich Eder a nome di tutta Mombaroccio. Con un 'grazie' venuto dal cuore.
La lezione di Erich Eder andrebbe studiata e conosciuta a fondo perché rompe i pregiudizi e insegna che la divisa è solo un indumento, copre un corpo ma troppo spesso sotto quel vestito non c’è nulla. Ma, fortunatamente per l'umanità, non sempre è così.
La lezione di Erich Eder andrebbe divulgata in Italia perché spiega come durante la guerra, durante la Shoah italiana, si poteva far di più. Come fecero molti, anche dalle mie parti (i sacerdoti Girolamo Tagliaferro e Michele Carlotto solo per citarne due).
Ma aprirebbe una discussione feroce anche con sé stessi, perché tu, tu in quel caso da che parte saresti stato? Avresti emulato il giovane Erich Eder oppure come gli uomini della Ettore Muti o di Junio Valerio Borghese (o per restare dalle mie parti i fascistoni Silvio Toniolo o Federico Menna) seguito fino alla catastrofe i dettami criminali del Fuhrer o del Duce?
Domande aperte per menti e cuori non chiusi, ma domande che nessuno oggi ha il coraggio di farsi, per paura di dover rispondere.
Pertanto, dimentichiamo in fretta la lezione di Erich Eder, esaltiamo Junio Valerio Borghese o Giorgio Almirante e passiamo oltre. Verso il buio, verso il passato, col tempo che torna indietro.
O che forse è già tornato indietro. Senza che ce ne rendessimo conto.
26 agosto 2025 – 81 anni dopo – Liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Seconda Parte” - Amazon
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
Dossier
diritti
|
|