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23 agosto 2025
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Nave di soccorso sceglie porto più vicino di quello imposto dal governo
di Viola Fiore

Nave della Mediterranea si è diretta in un porto più vicino di quello imposto dal governo facendo rotta sul porto di Trapani perché i superstiti ad un naufragio soccorsi a bordo dovevano al più presto ricevere cure mediche e psicologiche a terra.

Il tentativo del Viminale di imporre Genova per lo sbarco è avvenuto infatti senza tenere conto delle difficili condizioni psico-fisiche dei dieci superstiti, che era stata ampiamente attestata negli ultimi due giorni dal report e dalla certificazione individuali prodotti dallo staff medico di bordo.

Le 10 persone, cittadini kurdi di Iran e Iraq, egiziani e siriani, tra cui tre minori non accompagnati di 14, 15 e 16 anni, già duramente provati dalle condizioni di detenzione e da violenze e torture subite durante la permanenza in Libia, sono infatti pesantemente traumatizzate dalle condizioni in cui è avvenuto il loro soccorso.

Infatti, prima di essere raccolti dalla nave di salvataggio, erano stati imbarcati con la minaccia delle armi. Poi, poco dopo la partenza dalle coste libiche, hanno assistito alla sparizione in mare di quattro compagni che viaggiavano con loro e infine sono stati violentemente gettati in mare dai miliziani trafficanti che conducevano l’imbarcazione.

Nella notte tra il 20 e 21 agosto a 30 miglia a nord di Tripoli, nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, i dieci sono stati gettati in mare a calci e pugni, di notte, con onde oltre il metro e mezzo, da un assetto di tipologia militare che ha affiancato a dritta la nave e poi ha buttato a mare degli esseri umani, come fossero rifiuti.

Si trattava di una “Run Away Boat”, cioè un’imbarcazione veloce che affianca le navi della Flotta civile per poi scaricare - anche direttamente in mare come questa volta - persone che tentano di fuggire dalla Libia e che, pur avendo lo status di profughi e rifugiati, non hanno alcun modo legale per arrivare in Europa.

Il Centro per il radio soccorso medico, struttura istituzionale consultata dall’MRCC di Roma, ha confermato quanto attestato dai medici di bordo: i dieci migranti dovevano sbarcare al più presto nel più vicino porto per ricevere a terra quelle “necessarie cure mediche e psicologiche”

Se la nave si fosse diretta verso il porto indicato dal governo, avrebbero dovuto affrontare altri tre giorni di navigazione.

Pertanto il capitano della nave e Beppe Caccia, capomissione della spedizione, si sono assunti la piena responsabilità, affermando di disobbedire consapevolmente a un "ordine ingiusto e inumano" obbedendo, dicono "al diritto marittimo, alla Costituzione italiana e alle leggi dell'umanità".

"E' ora di finirla con giochetti politici sulla pelle di persone che tanto hanno sofferto e che non possono essere costrette a soffrire ancora".


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