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20 agosto 2025
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L'insurrezione di Santa Libera
di Rinaldo Battaglia

Il 22 giugno 1946 il 1° Governo De Gasperi licenziò la 'non-famosa' Amnistia Togliatti. Quella che Piero Calamandrei, uno dei padri fondatori della nostra Repubblica, più volte definì come: «Il più clamoroso errore della nuova classe dirigente italiana, gravido di conseguenze….Ispirata all’esigenza di pacificazione, si è trasformata, per l’interpretazione estensiva fornita dalla magistratura, in un generalizzato perdono, applicato anche a torturatori e ad assassini».

Per capire meglio le parole di Calamandrei basta solo citare qualche numero. Con solo quella prima amnistia – la madre di tutte le altre successive - vi furono subito ben 7.061 “beneficiari”, favoriti certamente dalla doppiezza dei termini usati nel testo stesso di legge.

Testo che, per davvero, venne scritto con un linguaggio giuridico assai poco limpido e troppo equivocabile, se non addirittura aperto a diverse interpretazioni e quindi alla discrezionalità soggettiva dei giudici. E siccome lo scopo era quello di pacificazione, di non creare differenze agli aventi diritto, indipendentemente dalla loro fede o storia politica, di quei 7.061 amnistiati, 153 erano partigiani, e ben 6.908 fascisti. Il 98% contro il 2% in termini matematici.

Ma se i fascisti, i post-fascisti e i neo-fascisti fecero festa, la gente comune come reagì?

Molti cercarono subito di protestare vivacemente, talvolta valicando anche le strade democratiche. Il primo campanello d’allarme venne suonato in un torrido pomeriggio d’agosto, il 20 agosto 1946, 79 anni come oggi e neanche due mesi dopo la Togliatti, quando una sessantina di ex partigiani di Asti, con a capo Armando Valpreda e “Primo” Rocca, entrambi comandanti partigiani pluridecorati, ripresero in mano le armi e tornarono sulle colline, al confine tra l’Astigiano e il Cuneese, dai quali erano discesi solo 16 mesi prima.

Il punto base fu scelto in una frazione di Santo Stefano Belbo, a Santa Libera, e passerà alla Storia per quei pochi che la conoscono come ’l'insurrezione di Santa Libera’. Era un chiaro messaggio alle Istituzioni, colpevoli a loro dire, di non voler pulire il paese dal fascismo, anzi di operare in senso contrario, rinnegando il valore della Resistenza e del 25 Aprile. A dire il vero, erano già da almeno due mesi che in quella zona si stava operando per passare dalle chiacchiere ai fatti. Forse l’amnistia Togliatti del 22 giugno aveva solo convinto i più indecisi o meno entusiasti.

La miccia che accese l’incendio avvenne il 20 agosto, perché quel giorno arrivò la notizia che il locale capitano della polizia ausiliaria Carlo Lavagnino, molto stimato in zona, era stato licenziato e, peggio, sostituito dal tenente Russo, un ex ufficiale della polizia fascista in Etiopia, famoso da quelle parti per i suoi metodi violenti e marcatamente razzisti e anti-semiti, non solo nella guerra coloniale in Africa Orientale.

Tutti lì si sentirono traditi e non solo chi aveva aderito e combattuto nella Resistenza in una zona dove il nazifascismo aveva mietuto migliaia di vite innocenti, tra le peggiori nefandezze e le peggiori atrocità della nostra guerra civile. Con treni di ebrei partiti per la Shoah, come Primo Levi.

Molti, che avevano investito nella Resistenza e nel dopo-Resistenza i loro ideali di giustizia e libertà, si sentirono umiliati e traditi, soprattutto dal Partito Comunista e da Togliatti. Il movente era altrettanto chiaro: pur di restare al governo quel gruppo dirigenziale aveva svenduto ai soci di potere i propri valori e principi. Addirittura, quel potere aveva ora mandato i suoi peggiori uomini per sedare eventuali cenni di rivolta.

Per meglio capire quel ‘sentiment’ va ricordato che proprio in quel periodo in Grecia, a guerra finita, i partigiani comunisti che avevano molto contribuito alla liberazione dagli invasori (tedeschi e italiani) erano già massacrati (e peggio sarà dopo) dalle forze governative, appoggiate dalle truppe inglesi. A guerra civile greca conclusa (nel ‘49), il potere passerà al generale Alexandros Papagos, con poteri quasi dittatoriali in perfetto stile fascista. Papagos, peraltro, era stato il grande comandante, che di fatto aveva nel ‘40 bloccato l’avanzata italiana nella nostra guerra d’invasione.

La forte protesta, o meglio l’insurrezione di Santa Libera, in breve si espanse dal Piemonte a tutto il Nord Italia, arrivando anche in Toscana. Il governo reagì ricorrendo alla forza militare, dispiegando ove necessario un gran numero di uomini, forse anche in misura esagerata. Si arrivò inevitabilmente – la politica è sempre “politica di partiti” – a contrasti accesi anche nel governo di larghe intese di De Gasperi.

In quei giorni il Capo del Governo era a Parigi per la Conferenza della Pace, che ebbe il suo clou in quel discorso del 10 agosto, quando cercò di spiegare al mondo che la nuova Italia non era più quella fascista di Mussolini e che meritava di godere «l’integrità territoriale e l’indipendenza politica», ammettendo che probabilmente fino a quel momento risultavano alquanto carenti e limitate da altri.

A prendere possesso delle decisioni fu, quindi, Pietro Nenni, vicepresidente del Consiglio e leader socialista che scelse la via del dialogo (Nenni peraltro più volte, in sede di approvazione dell’amnistia Togliatti, nel Consiglio dei Ministri si espresse sfavorevolmente).

Invitò subito una delegazione degli insorti in Parlamento per tentare un negoziato e, per non perdere tempo, già nella notte del 23 agosto mise a disposizione un aereo affinché la delegazione fosse quanto prima possibile a Roma. Molti maligni diranno per far sì che arrivasse durante l’assenza di De Gasperi, probabilmente non così altrettanto disponibile. Pietro Nenni ascoltò ampiamente le ragioni degli insorti di Santa Libera, dimostrò solidarietà e ampio interesse alla vicenda, ribadì il forte riconoscimento del valore storico della Resistenza.

Il 27 agosto la delegazione ritornò soddisfatta nella sua terra, ordinando di smobilitare ogni strumento usato per la insurrezione, forti delle promesse avute dal governo. Fu considerata una vittoria di tutti, qualcuno dei partigiani in rivolta usò persino il termine impegnativo di “seconda Liberazione”. Avevano ottenuto promesse economiche di una maggior attenzione a quel territorio, che vennero poi sostanzialmente mantenute. Ma nessuna delle promesse in termini politici e tanto meno l’abrogazione dell’amnistia, o almeno un forte suo ridimensionamento, verrà realizzata. Anzi arriveranno, a poco a poco e poi in modo frequente ripetitivo, altre amnistie.

Come la successiva, e sarà peggiore della Togliatti. Fu l’amnistia di Natale del ‘53, un colpo di spugna ancora peggiore o forse meglio un colpo di pugnale al cuore di chi credeva in una giustizia più giusta, meno schiava degli interessi di parte o di partito, totalmente diversa da quella prima avuta. Furono allora 7.833 gli amnistiati, quasi tutti se non tutti fascisti, legati al Duce.

20 agosto 2025 – 79 anni dopo – Liberamente tratto dal mio ‘L’inferno è vuoto’ – ed. AliRibelli/Ventus – 2023

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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