 |
Guerra e pace
di Corrado Poli
I leader europei che si recano a Washington sembrano un gruppo di scolaretti in gita scolastica. Ma non è affatto così.
Rappresentano il deposto (temporaneamente e apparentemente) regime euroatlantico che ancora governa gli Stati Uniti. Sono molto potenti e influenti. Essi sono indissolubilmente legati ai democratici e a una buona parte dei repubblicani nonché ai militari, alla finanza, all’economia e all’informazione dominanti.
I leader europei sono in grado di condizionare pesantemente tutte le scelte di Trump e fanno di tutto per indebolirlo e farlo fallire operando per conto dei loro sponsor americani di cui sono diretta emanazione.
A costo di continuare la guerra contro la Russia e chi mette in discussione l’egemonia occidentale.
***
Perché? Così come Trump ha vinto le elezioni in USA, in un prossimo futuro l’opposizione potrebbe vincere anche in Europa. La politica estera europea – concentrata sulla guerra – è determinata dall’esigenza interna di impedire qualsiasi cambiamento interno.
L’unico obiettivo dei leader europei consiste nel conservare un potere ormai logoro e minacciato da partiti emergenti, in gran parte di estrema destra, o almeno così definiti.
Solo un cieco non si rende conto come la larga “maggioranza Ursula” costituisca un vero regime che di fatto da un quarto di secolo si ripete quasi ovunque in Europa. Esso non prevede alternativa ed è intrecciato con quello americano, anzi è indistinguibile. Trump, piaccia o no, è l’alternativa che sfida il regime.
***
Negli USA, Trump è considerato un’eccezione – una diversa fazione – da cui liberarsi entro poco più di tre anni durante i quali occorre resistere per lasciare tutto come sta.
La prospettiva di Trump è diversa e più elastica. I soliti commentatori che imperversano sui media mainstream non hanno riportato un passaggio essenziale dell’incontro di Anchorage che riguarda la cooperazione economica tra Russia e Stati Uniti.
Trump - la sua fazione - accetta il multipolarismo anziché contrastare i BRICS+ con gli ultimi colpi di coda dell’imperialismo occidentale ridotto alla sua sola mano militare essendo destinato alla sconfitta economica, etica (vedi Gaza, Iraq ecc.) e sociale. Quanto potrà durare l’attuale regime? Su questo si possono fare previsioni e decidere che valga la pena resistere quanto più possibile come vuole il regime euroatlantico, oppure venire a patti come propone Trump.
Una cooperazione che era stata avviata anche dall’Europa e dall’Italia in particolare (anche grazie al Partito Comunista) che con la Russia ha sempre tenuto ottimi e stretti rapporti. Ma creare legami economici con la Russia mette a rischio sia l’industria europea sia il potere su cui essa è basata.
La risposta del regime, anziché rimodernare l’economia e rispondere alle esigenze sociali, è stato il tentativo di espansione a Est, la conquista dell’Ucraina e dei Paesi del Caucaso che con l’Europa non c’entrano nulla, ma ricordano i piani nazisti.
***
Al solido discorso di Putin che pone problemi e ne prospetta la soluzione, l’occidente - con l’esclusione di Trump che ne rappresenta la parte più debole - risponde con una chiusura assoluta e con la sola risposta militare.
Trump a sua volta si è dichiarato disponibile a venire a patti e risolvere diplomaticamente la crisi internazionale. Purtroppo, il presidente americano non ha saldamente in pugno il governo degli Stati Uniti e della NATO ancora fortemente influenzati dai regimi europei e dal sottogoverno americano. Di conseguenza non controlla nemmeno l’informazione mainstream e la finanza di cui sono espressione i leader europei.
Poiché non conosciamo come stanno esattamente le cose nei dettagli, se siamo onesti, dobbiamo attenerci alle sole dichiarazioni e non alle falsità messe in giro ad arte dai media. Con i loro incontro e i toni tenuti, Putin e Trump si dimostrano persona serie con una strategia politica e un desiderio di pace.
La risposta che ricevono è fatta solo di insulti, invocazioni alla guerra e alla violenza senza alcuna risposta costruttiva.
* Già docente della Johns Hopkins University di Baltimora (USA), componente del Comitato Scientifico dell'Osservatorio
 
Dossier
diritti
|
|