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17 agosto 2025
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Israele pubblicizza proprie violazioni del diritto internazionale
di Rossella Ahmad

Guardare il video di Marwan Barghouti, le ultime immagini che riceviamo del resistente, nelle carceri dell'occupazione da oltre vent'anni, è come assistere ad un paradigma.

L'eterno confronto, impietoso, tra il grasso colonizzatore in kippa, fuori dallo spazio e dal tempo, e il nativo, emaciato, fragile come un fuscello, piegato dalle torture ma in uno spazio ed in un tempo che gli appartengono, indissolubilmente.

È l'eterna immagine del colonizzatore grasso in salacot, fuori dallo spazio e dal tempo, trasportato sulla schiena piegata dalla fatica di un corpo rinsecchito, provato da tutte le forme di violenza coloniale.

Ma è anche il paradigma della forza titanica che possiede il nativo, esplicitata da un curdo iracheno, sterminatore di palestinesi, che rivolge le sue minacce di morte ad un uomo innocuo, in una cella del carcere di massima sicurezza di Ganot.

Questa forza primordiale il colonizzatore la avverte e la teme. È la minaccia che incombe, non esplicitata, sul suo collo da sempre e per sempre.

Nel caso di Marwan Barghouti, indigeno di Kobar, leader della seconda Intifada, catturato dall'occupazione nel 2002 e sbattuto da un punto all'altro dei gironi della morte israeliani, da Megiddo e Nafha ad Ofer, l'esplicitazione giunse, cristallina, di fronte al tribunale israeliano che pretendeva di giudicarlo, dalla posizione di superiorità e parzialità che il colonialismo gli garantiva: non riconosco la legittimità di questa corte, espressione della più grave trasgressione dei diritti dell'uomo.

In parole molto povere: siamo nel reame dell'illegalità e della plateale violazione della legge internazionale, e tu, occupante, vorresti giudicare me dalla tua posizione, illegittima secondo ogni parametro.

Ma se l'occupazione è illegale, anche tu lo sei. Ed io non ti riconosco, come non riconosco alcun ganglio della struttura di oppressione creata in Palestina, che va dalla prima rete di recinzione issata all'ultimo Ben Gvir della mafia istituzionalizzata che risponde al nome di stato sionista.

Il ricorso alle minacce di morte nei confronti di un uomo indifeso, di un prigioniero, che è un'ennesima violazione grave delle convenzioni e delle norme internazionali e umanitarie, mostra il volto di tigre di carta di questo regime violento, che sta chiudendo la sua infausta parabola storica in un lago di sangue.

Il mondo sa, il mondo osserva oltre la cortina fumogena di un'hasbara mediaticamente strutturata ed agguerrita. E ciò che vede suscita orrore

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