 |
Ponte Morandi: il giorno in cui l’Italia cadde con loro
di Raffaele Florio
Quattordici agosto 2018. Una mattina d’agosto, mentre Genova si svegliava tra traffico e partenze, la pioggia scendeva leggera. E poi, all’improvviso, il rumore assordante del crollo. Un ponte che sembrava eterno si sbriciolava in pochi secondi, portando con sé trentatré auto, diversi camion, e soprattutto quarantatré vite.
Non erano solo “numeri”. Erano famiglie in viaggio, giovani in partenza per le vacanze, lavoratori diretti in porto, bambini che ridevano sul sedile posteriore. In pochi istanti, una voragine li ha inghiottiti.
A crollare non è stato solo il Morandi, ma anche un’illusione: quella di vivere in un Paese sicuro, dove le infrastrutture sono solide e dove chi deve vigilare lo fa davvero.
Oggi, sette anni dopo, ricordiamo le vittime con dolore ma anche con rabbia. Perché la memoria, senza giustizia, è incompleta. Perché troppe famiglie hanno dovuto ascoltare giustificazioni, rimpalli di responsabilità, indagini infinite.
Un ponte non cade per fatalità: cade per incuria, per avidità, per anni di manutenzioni rimandate e di allarmi ignorati.
Commemorare significa anche pretendere. Pretendere che tragedie come questa non siano archiviate come “emergenze imprevedibili”, ma siano monito e spinta a cambiare. Un Paese che dimentica, condanna sé stesso a rivivere gli stessi lutti.
Oggi Genova si è fermata, e con lei tutta l’Italia che vuole ancora essere degna di chiamarsi comunità. Alle 11:36, l’ora del crollo, il silenzio non era vuoto ma carico di nomi, di volti, di vite che non torneranno.
Per loro, e per noi, dobbiamo fare in modo che nessun ponte, fisico o morale, crolli mai più.
 
Dossier
diritti
|
|