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14 agosto 2025
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In Palestina accade sempre così
di Rossella Ahmad

In Palestina accade sempre così.

Volto sempre in avanti, si saluta ciò che arriva ancora prima di aver dato l'ultimo addio a ciò che è passato. Anche se, come in questo caso, si tratti di un ragazzo di neanche trent'anni. Non si dimentica ma si supera.

In quella terra, in cui si muore molto giovani e l'età media dei decessi continua ad abbassarsi, non c'è tempo per piangersi addosso. Chi è vivo oggi non è detto che debba esserlo domani e, dunque, si cerca di fare ciò che è possibile, ciò che si deve, nel breve spazio di un'esistenza gazawi.

Vi è la smania di fare cose, di imprimere un senso alla propria vita, percepita come brevissima e fragile, di dare significato ai propri giorni anche e soprattutto quando il proprio carceriere cerchi di svuotarli, di renderli vani, di trasformarli in giorni da reietti, bisognosi di aiuti lanciati dal cielo.

Affamati. Poveri. Depoliticizzati. Eterni minorenni da tutelare.

Chi parli in questi termini del popolo palestinese non lo conosce affatto.

Non conosce l'amore e la passione per la cultura, che lo ha portato ad essere l'élite nel mondo arabo ed ai primi posti al mondo per alfabetizzazione e gap positivo tra i due sessi per scolarizzazione fino ai massimi livelli.

E non sa che la vita di ogni palestinese è imperniata attorno alla politica, concepita nel senso originario del termine: politikḗ, ciò che attiene alla città-stato. Nessuna ideologia astratta, ma vita vissuta. Ogni giorno, sulla propria pelle.

Chi si meravigli che Anas o chiunque altro avesse o abbia idee politiche, le quali, nel caso di un popolo sotto occupazione hanno il nome di Resistenza, confonde la Palestina con la Confederazione Elvetica, o con Paperopoli.

In una terra sotto occupazione, esistono due categorie di individui: i resistenti ed i collaborazionisti. Null'altro che queste. Dov'è la meraviglia? Mi riferisco in questo caso ai tanti sinceri amici della Palestina che hanno sprecato parte del loro prezioso tempo vitale per discettare della veridicità di una foto. Sapete quale, non c'è bisogno di riparlarne.

Il punto non è se la foto sia vera o falsa, fotomontaggio o meno, ottenuta con l'ausilio dell'intelligenza artificiale o no. Il punto è quale definizione dare alla Resistenza palestinese. Se sia terrorismo, oppure se, al contrario, sia non solo legittima secondo la legge internazionale ma anche doverosa secondo ogni parametro etico e morale. La quasi totalità del mondo al di fuori della corrottissima bolla occidentale - madre di tutte le colonizzazioni e dunque di tutti i terrorismi - pensa che sia vera la seconda asserzione, ed io con esso.

Quindi al diavolo la foto e le inutili speculazioni a riguardo.

Lasciamo che a speculare, gabbare, raggirare e infangare, siano i mistificatori di professione, coloro che dalla mistificazione traggono grandi benefici materiali ed effimere glorie.

Non cito i loro nomi oscuri, ma li ricordo tutti. Mi auguro che molto presto, ben prima dello stato coloniale e genocida da cui sono ripetutamente e con grande piacere sodomizzati, finiscano nella polvere destinata ai miserabili.

Aver occultato la verità, falsificato le notizie, dato voce all' oppressore, e solo ad esso, durante un genocidio ti rende non soltanto moralmente complice ed eticamente ripugnante, ma anche penalmente perseguibile nel caso in cui la giustizia dovesse seguire il suo corso. Per adesso, un team internazionale di avvocati e difensori dei diritti umani ha già inviato lettere di avvertimento ai capi di stato e di governo tedesco, francese, austriaco e olandese sulla eventualità che pubblici ufficiali possano essere perseguiti nelle corti nazionali per la loro complicità nel genocidio di Gaza.

Gli altri, i sodali, che partecipano attivamente al crimine in corso, seguiranno lo stesso destino dei responsabili materiali.

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