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Marketing dell’indignazione
Raffaele Florio
Appena un politico riceve un insulto o minaccia, ecco il copione: condanna unanime, solidarietà bipartisan, dichiarazioni in coro sulla “politica come confronto di idee” e indignazione a reti unificate. Nel giro di mezz’ora, destra e sinistra si scoprono improvvisamente sorelle: abbracci virtuali, toni solenni, e perfino il lessico cambia — l’“avversario” diventa “la persona”, la “nemica” diventa “una donna che va rispettata”.
Bellissimo, se non fosse che la stessa unità di intenti evapora come neve al sole quando l’insulto o la minaccia colpiscono un giornalista scomodo, un sindaco di provincia senza scorta, o un oppositore fuori dai riflettori. In quei casi, silenzio di tomba. Anzi, a volte scappa pure un ghigno compiaciuto.
Gli esempi?
Quando la giornalista Serena Bortone è stata sommersa di insulti sessisti dopo aver ospitato un’intervista scomoda, silenzio quasi totale da mezzo Parlamento.
Quando Roberto Saviano è stato minacciato di morte da camorristi e insultato da leader politici in diretta TV, molti hanno applaudito o fatto spallucce.
Quando Federica Angeli viveva sotto scorta per le sue inchieste a Ostia, la solidarietà istituzionale era così rara che si sarebbe potuta collezionare.
Quando un sindaco di provincia viene aggredito per aver difeso la legalità, il massimo che riceve sono due righe in fondo a un giornale locale.
Quando i magistrati ricevono buste con proiettili, la condanna arriva solo se il PM è “amico” della propria parte politica.
Questa non è lotta all’odio, è marketing dell’indignazione.
Si condanna il veleno del web solo se serve a rafforzare la propria immagine, non per ridurre davvero la violenza verbale. E intanto, nei talk show, nelle piazze e perfino nei banchi del Parlamento, le stesse mani che oggi si battono il petto domani lanciano fango a secchiate contro l’avversario di turno.
La verità è che in Italia non c’è solidarietà contro le minacce: c’è solidarietà contro le minacce alla persona sbagliata per gli odiatori di turno. Ed è per questo che il clima non cambia. Perché finché l’odio fa comodo, nessuno ha interesse a spegnerlo.
Il risultato? La solidarietà è diventata moneta falsa: la si spende solo quando conviene, quando la vittima appartiene al proprio giro, o quando c’è l’occasione per un bel post indignato che faccia il giro delle agenzie. Per il resto, gli odiatori seriali possono lavorare indisturbati — anzi, talvolta vengono pure incoraggiati dagli stessi leader che a giorni alterni si fingono vittime.
E così la politica, che dovrebbe dare l’esempio, diventa il principale amplificatore del veleno. I partiti si indignano per un “vaffa” su Instagram, ma poi passano le giornate a demolirsi a vicenda con insulti, delegittimazioni, insinuazioni, processi mediatici e fake news. La differenza è che loro lo chiamano “dialettica” o “battaglia politica”. Ma la puzza di ipocrisia, quella, non la copre nemmeno un quintale di solidarietà prefabbricata.
AMEN
 
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