Osservatorio sulla legalita' e sui diritti
Osservatorio sulla legalita' onlusscopi, attivita', referenti, i comitati, il presidenteinvia domande, interventi, suggerimentihome osservatorio onlusnews settimanale gratuitaprima pagina
11 agosto 2025
tutti gli speciali

Giornalisti, bersagli di guerra
di Raffaele Florio

C’era una volta — ma è passata di moda — l’idea che i giornalisti in zona di guerra fossero “osservatori” protetti dal diritto internazionale, non bersagli da centrino col mirino laser. Poi è arrivato il 7 ottobre 2023, con il massacro compiuto da Hamas, e con lui la versione israeliana della “guerra totale”: tutto è obiettivo legittimo, anche chi documenta la guerra stessa. Anzi, soprattutto chi la documenta.

Nella notte a Gaza, cinque membri dello staff di Al Jazeera sono stati uccisi in un attacco dell’Idf: due corrispondenti e tre cameraman, colpiti in una tenda fuori dall’ospedale al-Shifa. Un caso? Certo, come “per caso” l’ambulanza si ferma sempre davanti al bar quando hai sete.

L’esercito israeliano ha confermato di aver centrato Anas al-Sharif, definito “terrorista travestito da giornalista” e a capo di una cellula di Hamas. Strana coincidenza: i terroristi di solito non passano ore con un microfono in mano davanti a una telecamera, sotto la pioggia di bombe, a raccontare cosa succede. Ma ormai basta la parola “Hamas” per far sparire ogni garanzia, regola, vincolo morale o giuridico.

Il messaggio è chiaro: se racconti quello che non ci piace, sei un obiettivo militare. Da lì al bollare come “terrorista” chiunque osi contraddire la versione ufficiale, il passo è breve. E infatti la lista dei giornalisti uccisi in questo conflitto è già la più lunga della storia recente: quasi 200 secondo Reporter senza frontiere. Ma evidentemente per qualcuno non sono colleghi, sono “danni collaterali”, anzi meglio, “colpi mirati”.

Israele si giustifica dicendo che Al-Sharif era un comandante. Hamas e la Jihad islamica parlano di “omicidio mirato” per silenziare voci scomode. E in mezzo, l’Occidente che balbetta qualcosa sulla libertà di stampa, giusto per salvare le apparenze, salvo poi tornare a vendere armi, a fare accordi e a parlare di “democrazia in Medio Oriente”.

La cosa tragicomica — tragica per chi muore, comica per chi ci crede — è che mentre si celebrano conferenze sul “diritto all’informazione”, i governi amici di Israele chiudono un occhio, anzi due, su quello che accade ai reporter in Palestina. L’Australia intanto annuncia che riconoscerà lo Stato palestinese. Bene. E intanto che facciamo? Mandiamo corone di fiori alle famiglie dei giornalisti assassinati? O magari organizziamo un bel “premio alla carriera” postumo?

Se domani un drone decidesse che chi scrive queste righe è “a capo di una cellula di qualcos’altro”, potremmo tranquillamente finire nell’elenco dei bersagli. Non serve una toga, un tribunale o una prova. Basta un comunicato su Telegram dell’Idf. La condanna a morte senza processo è servita.

Benvenuti nell’era in cui la libertà di stampa non muore di censura, ma di bombardamento mirato.

VAI A TUTTE LE NOTIZIE SU GAZA


per approfondire...

Dossier diritti

_____
NB: I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE PRELEVATI
CITANDO L'AUTORE E LINKANDO
www.osservatoriosullalegalita.org

°
avviso legale