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Israele assassina Anas Al Sharif, voce delle vittime di Gaza
di Alessandro Ferretti
Anas Al Sharif, il famosissimo giornalista di Al-Jazeera che ha raccontato al mondo in diretta ventidue mesi di genocidio, è stato assassinato stasera da un colpo diretto sulla sua tenda nel cortile dell'ospedale Al-Shifa, insieme a quattro colleghi di Al-Jazeera.
Anas, 28 anni, era stato ripetutamente minacciato da Israele affinché smettesse di fare il suo lavoro. Tre settimane fa, per la prima volta dopo ventidue mesi di orrori, durante la diretta da Gaza aveva pianto alla vista di una donna svenuta per la fame davanti a lui, commuovendo fino alle lacrime decine di milioni di persone.
I sionisti più accaniti, completamente fuori di sé, avevano reagito chiedendone l'esecuzione. Tre giorni dopo il portavoce dell'esercito israeliano, Avichai Adraee, aveva affermato che Anas aveva lanciato "una campagna mediatica personale" finalizzata a "fare carriera in Hamas", ritwittando un suo video di ottobre 2024 in cui lo accusava di essere membro delle brigate combattenti. Le "prove" erano un paio di fogli di carta con su stampato il suo nome, e la parola di Adree che assicurava quelli erano gli elenchi dei membri di Hamas.
Ora Israele ha ammazzato quasi tutta la squadra di Al-Jazeera a Gaza e probabilmente anche i rimanenti, tra cui Hind Khoudary, hanno i giorni contati. Israele non vuole testimoni della strage finale che si appresta a compiere a Gaza City, e basta questo semplice fatto a capire che si sta preparando qualcosa di ancor più terribile degli orrori cui abbiamo assistito in questi quasi settecento giorni di incubo crescente.
Per le giornaliste e i giornalisti italiani che ancora non hanno preso una posizione chiara sul genocidio, o che addirittura ancora tacciono o peggio tifano, questa è l'ultima chiamata. A questo punto, non basta neanche più una commemorazione accorata condita al più da qualche accusa a Netanyahu.
Ora i giornalisti, se vogliono ancora essere minimamente degni di questo nome, si devono ribellare alla politica strutturale di edulcorazione, minimizzazione, distorsione, disumanizzazione e deliberata disinformazione che è da ventidue mesi la norma nella stragrande maggioranza delle redazioni di giornali, radio e tv italiane; una politica finalizzata sin dall’inizio a proteggere e scortare mediaticamente il genocidio fino alle più estreme conseguenze.
Vi siete scelti un lavoro difficile, perché sapevate che essere bravi giornalisti richiede non solo bravura nello scrivere ma anche un grande coraggio nel raccontare ciò che è scomodo per il potere. Se continuerete come se nulla fosse, non solo perderete il rispetto di chi vi legge, ascolta e vede, ma anche di voi stessi. Quanto in basso siete disposti a scendere prima di farvi schifo da soli?
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