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Manipolazione mediatica: quando i numeri diventano armi
di Cristina Siqueira
Dietro ogni titolo c’è una scelta: cosa dire, cosa omettere e come presentarlo.
A volte basta un numero estrapolato dal suo contesto per cambiare completamente la percezione di un evento.
In un mondo dove i dati viaggiano più veloci della capacità di verificarli, sapere chi li diffonde è importante quanto conoscere cosa comunicano.
Perché tra informazione e manipolazione la linea di confine è sottile, e spesso invisibile.
“La manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini e delle opinioni organizzate delle masse è un elemento importante nella società democratica.” — Edward Bernays
Viviamo in un’epoca in cui le informazioni si propagano in un attimo, ma la velocità non garantisce accuratezza.
Troppo spesso i fatti vengono distorti e sfruttati come strumenti di potere.
Persino le statistiche, che dovrebbero chiarire la realtà, finiscono per essere impiegate per modellare narrazioni funzionali a interessi precisi.
Un caso recente lo dimostra:
“New poll shows nearly half of Gazans would leave if given opportunity” — “Un nuovo sondaggio mostra che quasi la metà dei gazawi se ne andrebbe se ne avesse l’opportunità”.
Questa frase ha fatto il giro del mondo, rimbalzando da Reuters al New York Post, fino a giornali israeliani e lobby filo-israeliane.
Un dato che cattura l'attenzione, ma non svela tutta la complessità della situazione.
Quel valore arriva da un’indagine condotta su appena 440 intervistati, in un’area abitata da milioni di persone.
È come giudicare un oceano guardando una pozzanghera.
Ma c’è un ulteriore dettaglio spesso ignorato.
La ricerca è stata curata dal Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR), con sede a Ramallah — cuore politico di Fatah e dell’Autorità Nazionale Palestinese, storici avversari di Hamas, che governa Gaza.
Un’informazione che raramente compare nei titoli, ma che aiuta a comprendere il contesto.
Qui entra in gioco un meccanismo ben noto: concentrare l’attenzione sull’origine dell’informazione per sostenerla o screditarla.
Accade, ad esempio, quando si legge: “L’IDF spara sui civili in cerca di cibo. Secondo fonti di Hamas, 11 persone sono morte.”
In questi casi, chi difende Israele sposta il dibattito sulla credibilità della fonte — “sono terroristi, non sono affidabili” — lasciando in secondo piano l’accaduto.
Nel caso del sondaggio, la dinamica è opposta: l’origine dell’inchiesta resta nell’ombra e il lettore riceve il numero senza il contesto politico che lo accompagna.
Un’omissione che distorce la percezione dei fatti.
Così quel 49% diventa uno strumento di lotta politica: utile a delegittimare Hamas, dividere la popolazione palestinese e rafforzare chi mantiene Gaza sotto assedio e controllo.
Cifre che, private del loro quadro di riferimento, si trasformano in armi retoriche per difendere narrazioni consolidate.
Questa non è informazione: è inganno.
Un copione vecchio ma sempre efficace, progettato per dividere, confondere, dominare.
Nel frattempo, chi vive quotidianamente in quel territorio piccolo e assediato resta prigioniero di una realtà molto più complessa e dolorosa di quella che lasciano intendere i titoli.
Accettare queste versioni distorte significa diventare complici.
“La propaganda è a un livello tale che la popolazione si convince di ciò che è falso e rifiuta ciò che è vero.” — Noam Chomsky
Non permettiamo che menzogne e dati manipolati diventino muri tra noi e la verità.
La battaglia per comprendere e raccontare il reale non è mai stata così urgente.
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