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La mamma palestinese del gemellaggio Gaza - Riace
di Rossella Ahmad
E allora, ti è piaciuta Riace?
- Helwa: Bella. Tutto è bello, ogni cosa. Anche quando non lo è.
La Takla palestinese, la Madre Addolorata di Gaza, è di fronte a me.
Ha il viso sereno e luminoso. Nonostante tutto.
Nonostante un figlioletto bellissimo, ormai decomposto tra le macerie di Gaza, nonostante un marito che vede solo attraverso uno schermo. Da quasi tre anni.
I palestinesi sono così. Riescono a spostare anche i macigni, a superare catastrofi che annienterebbero un comune essere umano, e lo fanno con grazia. Senza farlo.pesare, come se fosse la cosa più naturale al mondo.
E si aggrappano come possono, e appena possono, alle bellezze - pochissime, in verità - che la vita pone loro dinanzi.
Guardare avanti sempre,
E dopo ogni fine, si risorge. Più giovani e belli,
Mi racconta del sindaco Lucano, della targa che sancisce il gemellaggio tra Gaza e la città calabrese, del comportamento impeccabile dei miei gazawini ospiti d'onore di un evento che non possono ancora comprendere in pieno e che però comprendono.
Sono piccolissimi, eppure consapevoli.
A Roma marciarono a 35 gradi all'ombra, in mezzo ad una marea umana, ricorrendo al confort del passeggino un momento prima di stramazzare al suolo, sfiniti da un sole che picchiava senza pietà.
Altrettanto bravi alla manifestazione di inizio luglio a Napoli.
Un flash mob bellissimo e molto coinvolgente tra l'altro, a cui i bimbi parteciparono con serietà.
Temetti il momento clou, quello in cui i suoni di Gaza - droni sibilanti, missili esplodenti ed urla umane - riempirono la piazza. Parliamo di bambini sopravvissuti ad un genocidio, testimoni e vittime del bombardamento che inaugurò la mattanza di Gaza e che falciò la verdissima vita del primo martire bambino, il loro fratellino.
E difatti, mentre il rumore della guerra impregnava l'aria di una piazza napoletana in un pomeriggio di mezza estate, il gazawino guardava istintivamente verso il cielo.
Ha memoria di quel rumore,
Sa che la morte viene dall'alto ed ha un suono che fa paura.
Mentre scrivo, siamo nell'idillio di un tardo pomeriggio al mare. Davanti a noi, una distesa già argentea. La spuma delle onde che si infrangono a riva sembra una collana sfilacciata di perle, che rotolano in ogni direzione. Dietro, la collina si traveste di presepe, con le lucette sparse tra il verde brillante dei crinali.
I bimbi giocano con palette, secchielli, sabbia e sassi. Si attardano, vogliono restare. Senza capricci obbediscono allo sguardo della Takla.
Si torna a casa. E poi si piange come sempre al momento del commiato.
Aboud ha imparato a parlare in Italiano.
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