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Africa: bugie sull'erede politico di Thomas Sankara
di Soumaila Diawara
Negli ultimi tempi ho letto diversi articoli e commenti sul presidente del Burkina Faso, Ibrahim Traoré, che lo descrivono come un dittatore, come se avesse rovesciato un governo democraticamente eletto.
Alcuni lo dipingono persino come uno sprovveduto privo di formazione politica, ignorando deliberatamente le sue radici ideologiche sankariste e la sua ammirazione per Nelson Mandela e le sue politiche. In sostanza, lo si presenta come un ingenuo facilmente manipolabile, quando la realtà è molto diversa.
Questa narrazione, oltre a essere storicamente falsa, è un esempio lampante di disinformazione.
Facciamo chiarezza. Nel 2014 una rivoluzione popolare pose fine a 27 anni di potere dittatoriale di Blaise Compaoré, l’uomo dietro l’assassinio di Thomas Sankara. Due anni dopo si tennero finalmente elezioni libere e trasparenti, le prime dopo quasi trent’anni, che portarono Marc Kaboré alla presidenza.
Durante il suo mandato, e soprattutto dopo la rielezione, furono aperti i processi per l’omicidio di Sankara. Molti militari di alto grado vennero arrestati e processati. Quando il Burkina Faso chiese a Francia e Stati Uniti di desecretare i documenti sul caso, avvenne una coincidenza significativa, due mesi dopo, Kaboré fu deposto da ex generali che avevano servito Compaoré per quasi tre decenni.
Tra questi vi erano uomini legati a traffici illeciti e a figure come Charles Taylor, ex presidente della Liberia, coinvolto indirettamente nell’assassinio di Sankara in cambio dell’uso del Burkina come retrovia nella guerra liberiana.
Molti di questi generali avevano ricevuto formazione e sostegno economico dalla CIA e dai servizi segreti francesi. Non è un’ipotesi complottista, lo testimoniano documenti ufficiali, video e il documentario di Silvestro Montanari "Il giorno che uccisero la felicità", prodotto da Rai3, oltre alle prove emerse nel processo a Taylor presso la Corte penale internazionale.
Il nuovo regime militare instaurato da questi generali riportò il Paese in un circolo vizioso di corruzione, in un solo anno funzionari e ufficiali si arricchirono a dismisura, i soldati furono lasciati senza mezzi adeguati per combattere il terrorismo, e i manifestanti vennero repressi nel sangue.
È in questo contesto che Ibrahim Traoré e un gruppo di compagni decisero di deporre quel regime militare corrotto, che a sua volta aveva destituito un presidente democraticamente eletto.
È bene precisarlo, Traoré non ha rovesciato Kaboré, contrariamente a quanto raccontano certi giornali. Al contrario, liberò i politici arrestati, compresi membri dell’ex governo Kaboré, e creò un Consiglio Nazionale con la partecipazione di esponenti politici del precedente esecutivo.
Quando avviò indagini sui funzionari corrotti e sequestrò miliardi di fondi sottratti allo Stato, Traoré dimostrò un punto cruciale: pur riconoscendo le pesanti responsabilità del colonialismo e del neocolonialismo, è indispensabile anche una pulizia interna, perché la corruzione interna è un cancro che divora le nazioni dall’interno.
Contrariamente all’immagine dell’anti-occidentale che gli viene cucita addosso, Traoré è perfettamente consapevole che nessuna nazione può fare a meno dei rapporti internazionali, soprattutto commerciali. Non ha interrotto i legami con l’Europa, e il Burkina Faso utilizza ancora il Franco CFA per la moneta. Continua a vendere uranio alla Francia, e alcuni accordi storici, come quelli stretti da Sankara e Jerry John Rawlings, ex presidente del Ghana, con l’Italia negli anni ’80, riguardano la fornitura di oro dal Burkina Faso e dal Ghana destinato alle riserve del tesoro italiano, e restano in vigore. Ha invece sospeso le vendite di oro e cotone agli Stati Uniti, destinando parte dell’oro alle riserve nazionali per dare garanzie a investitori europei, cinesi e di altri Paesi.
Gli Stati Uniti hanno reagito con ostilità, e l’Europa si è accodata, persino rifiutando di vendere armi al Burkina Faso, costringendo Traoré a rivolgersi a Cina e Russia. È paradossale, gli stessi Paesi che dichiarano di voler combattere il terrorismo negano strumenti essenziali a chi è in prima linea.
Con i fondi recuperati dalla corruzione, Traoré ha avviato la costruzione di scuole, centri sanitari e un piano di industrializzazione che coinvolge anche aziende europee. Ha chiuso le porte solo agli Stati Uniti, soprattutto dopo dichiarazioni ostili di Trump e di un generale americano di stanza in Germania, che lo accusava di voler consolidare il potere. Perfino alla Russia ha posto un limite, rifiutando l’arrivo di militari e ribadendo che eventuali collaborazioni dovranno avvenire solo con un esercito nazionale, non con mercenari.
E l’Europa? Invece di sviluppare una politica estera autonoma e basata sul rispetto reciproco, preferisce seguire le logiche di ricatto di Washington, logiche che storicamente si sono rivelate disastrose anche per noi.
Gli Stati europei dovrebbero smetterla di agire come pedine e cominciare a stabilire rapporti seri con i partner africani, basati sulla sovranità e sugli interessi reciproci. Altrimenti, rischiano di compromettere il proprio futuro, anche per quanto riguarda l’accesso alle risorse naturali.
Piaccia o no, questa è la realtà dei fatti storici e politici degli ultimi quattro anni.
 
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