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09 agosto 2025
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Diritto alla resistenza: fra riconoscimento e tradimento
di Cristina Siqueira

"Ogni generazione deve, in relativa opacità, scoprire la propria missione, compierla o tradirla."

Così scriveva Frantz Fanon, nel 1961, il pensatore che più di ogni altro ha raccontato la lotta anticoloniale e il prezzo della liberazione. Quella missione, quel bivio, si ripropone con crudezza guardando ai governi che nel 1982 votarono la Risoluzione 37/43 dell’ONU e che oggi, invece di sostenere il popolo palestinese, ne hanno tradito la causa.
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Il giorno in cui l’Occidente votò per la resistenza… e poi la tradì

Dicembre 1982:

Il sangue di Sabra e Shatila non si è ancora seccato, l’odore della carne bruciata si mescola a quello della polvere da sparo e della decomposizione. Le immagini dei corpi straziati nei vicoli dei campi profughi palestinesi in Libano hanno fatto il giro del mondo, e la complicità dell’esercito israeliano nell’eccidio è ormai un fatto noto.

La comunità internazionale non può fingere di non vedere. È in questo contesto di atroce ingiustizia che l’Assemblea Generale dell’ONU emana una risoluzione chiara, severa e senza compromessi: si parla apertamente di occupazione, colonizzazione, diritto alla resistenza.

Ne esce la Risoluzione 37/43, un testo che oggi sembra appartenere a un altro universo politico. Non è un documento timido: dichiara legittima “la lotta dei popoli per l’indipendenza… con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata”; riconosce la OLP come unica rappresentanza legittima del popolo palestinese e invita tutti gli Stati a sostenerla; condanna “i governi che si oppongono al diritto all’autodeterminazione, in particolare per i popoli della Palestina e dell’Africa”.

Quelle parole non lasciavano spazio a interpretazioni. Era un’accusa diretta non solo agli occupanti, ma anche a tutti quegli Stati che, per convenienza o complicità, negavano il diritto dei popoli alla libertà.

E chi votò a favore? Quasi tutta l’Europa occidentale: Italia, Francia, Regno Unito, Germania Ovest, Spagna, Belgio, Olanda, Svezia, Norvegia, Danimarca, Grecia, Portogallo, Irlanda. Con loro, la maggioranza schiacciante dell’Assemblea: 120 voti favorevoli, solo 3 contrari (Stati Uniti, Israele e un alleato minore di Washington) e 17 astensioni. Nel pieno della Guerra Fredda, questo allineamento tra paesi occidentali e la maggioranza del Sud globale fu un fatto rarissimo.

Quarant’anni dopo, guardiamo cosa è rimasto di quel voto. Gli stessi governi che allora si dissero pronti a condannare chi negava l’autodeterminazione sono oggi tra i primi a farlo. Hanno trasformato in “terrorismo” la resistenza che nel 1982 definivano legittima. Hanno ridotto la OLP a un’ombra, privandola di voce e riconoscimento politico. Hanno stretto con Israele rapporti militari, economici e diplomatici che ne blindano l’occupazione, fino a fornire armi, tecnologie e cooperazione di intelligence.

Il diritto internazionale non è cambiato, resta chiaro e inoppugnabile, ma la coerenza politica è stata sacrificata sull’altare degli interessi geopolitici, energetici e commerciali. Nel 1982, di fronte a un massacro, l’Europa ebbe il coraggio di dire, a verbale, che la Palestina aveva diritto a liberarsi con tutti i mezzi. Oggi, davanti a Gaza assediata e alla Cisgiordania frantumata, preferisce ripetere la versione dell’occupante o distogliere lo sguardo. E così, ciò che allora era “lotta di liberazione” oggi è “atto terroristico”; ciò che era “occupazione coloniale” oggi diventa “situazione complessa sul terreno”.

La Risoluzione rimane negli archivi delle Nazioni Unite, a ricordare che un tempo i governi europei accusavano i negazionisti dell’autodeterminazione. Oggi quegli stessi governi, con la loro politica e il loro silenzio, sono entrati in quel banco degli imputati. Questo è un tradimento che non può essere ignorato, perché non si tratta solo di politica estera: è una ferita aperta nella coscienza morale del mondo occidentale, una frattura tra ciò che si proclama e ciò che si pratica.

Come ammoniva Hannah Arendt, "la banalità del male si manifesta nell’accettazione acritica delle regole imposte dai potenti, nella complicità di chi sceglie di non opporsi, di chi si piega al potere senza riflettere." E così, quel tradimento è diventato sistemico, la normalità di una politica internazionale fatta di doppi standard, di ipocrisia, di omertà.

Quel testo è oggi più che mai un monito e una sfida: ricordare a tutti i governi firmatari, e a chi ha voltato le spalle, che la storia giudica severamente chi tradisce la propria missione. Chi ha votato per la giustizia e poi ha scelto il silenzio o la complicità non può nascondersi dietro l’indifferenza.

Oggi, a Gaza, i bambini crescono sotto le bombe come allora nei vicoli di Beirut; in Cisgiordania i checkpoint scandiscono la vita come catene invisibili. Ogni muro eretto, ogni casa demolita, ogni corpo senza sepoltura è un promemoria vivente del tradimento di quei governi che nel 1982 si dissero dalla parte della libertà. La Palestina non ha dimenticato, e la storia non dimenticherà.

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