Osservatorio sulla legalita' e sui diritti
Osservatorio sulla legalita' onlusscopi, attivita', referenti, i comitati, il presidenteinvia domande, interventi, suggerimentihome osservatorio onlusnews settimanale gratuitaprima pagina
09 agosto 2025
tutti gli speciali

Non solo Hamas: Gandhi di Palestina
di Rossella Ahmad

Nel dicembre del 2023, a poche settimane dall'inizio della devastazione di Gaza, una cara amica, la cui attitudine è improntata alla non-violenza, mi pose un quesito, lo stesso venuto fuori dai commenti al mio ultimo articolo: se i palestinesi avessero mai optato per una Resistenza passiva, alla Gandhi, e se sia mai esistito un Gandhi palestinese, appunto.

La risposta è ovviamente sì ad entrambi i quesiti.

Come già scrissi in precedenza, l'intera esistenza palestinese è forgiata attorno al sumud, un'attitudine particolarissima dello spirito, che i palestinesi hanno trasformato in arte sopraffina: la pazienza illimitata di sopportare.

È una capacità unica, che si ha difficoltà persino a spiegare. Non passività, ma risolutezza a restare fermi, con pazienza: non ce ne andremo, nonostante facciate di tutto per rendere la nostra vita impossibile. Resisteremo perché la nostra connessione con la terra è inestinguibile. Resteremo per sempre come spine conficcate nel vostro fianco, e berremo questo calice amaro che la storia ci ha offerto. Senza spostarci di un millimetro.

Il fatto di avere la legalità ed il diritto dalla propria parte, l'ingenua certezza che la comunità internazionale non avrebbe chiuso gli occhi per sempre sulla tragedia imposta ad un popolo innocente, ha per lunghi anni incoraggiato i palestinesi a proseguire sulla strada del sumud più risoluto, che, nel tempo, si trasformava in sfida.

La sfida di chi resiste e, con la sua resistenza, rende mostruosa l'immagine dell'oppressore.

La lotta armata è nata solo dopo aver constatato il fallimento di qualsiasi altra opzione, aver toccato con mano il disinteresse della comunità internazionale e aver vissuto sulla propria pelle il danno della colonizzazione d' insediamento e la beffa degli accordi truffaldini.

Insisto su un concetto, che è fondamentale: la Palestina non è l'india coloniale, e le mire del sionismo non sono quelle del colonialismo britannico.

In Palestina , dal 1948 ad oggi, è in atto un tentativo di sterminio e di sostituzione etnica dei nativi che ha il suo unico corrispettivo storico nell'annientamento dei pellerossa americani.

Eppure, la Palestina è riuscita a produrre dal suo grembo pregno di semi buoni delle vere e proprie icone della lotta non violenta, anche in un contesto intriso di violenza coloniale, che è la madre di tutte le violenze e di tutte le miserie umane.

Due nomi mi sovvengono, tra i tanti.

L'editore gerusalemita Hanna Siniora. Mentre i militari d'occupazione entravano in casa per arrestarlo in quanto palestinese e quindi sottoposto ad innumerevoli detenzioni amministrative senza nessun capo d'accusa, lui preparava il caffè, ne offriva ai suoi torturatori e poi li seguiva, confondendoli.

"Tu, samudin, hai scelto di restare in questa prigione perché è la tua casa e perché sai che, se dovessi lasciarla, il tuo carceriere non ti concederà più di tornare. Vivere in questo modo ti pone dinanzi due tentazioni: o soccombere alla cieca disperazione a cui il tuo carceriere vuole consegnarti o farti consumare dall'odio per lui e per te stesso, il prigioniero".

E Raja Shehada, scrittore, avvocato ed attivista per i diritti umani di Ramallah, nato da una famiglia di notabili cristiani di Jaffa, riparata in Cisgiordania a seguito della pulizia etnica del 1948. Suo nonno Salim fu Giudice nei tribunali della Palestina Mandataria mentre il suo prozio Najib Nassar fu tra i fondatori del quotidiano Al-Karmil di Haifa.

L''editore del London Review of Books cita Shehada come la persona che ha maggiormente contribuito a formare la sua percezione della questione palestinese: "In qualche modo fragile e tormentato, è un uomo che, a dispetto della sua comprensibile amarezza, ha continuato a guardare oltre l'occupazione, ad una sorta di federazione neo-Ottomana in cui tutti potessero vivere da uguali".

"A volte, mentre cammino tra le colline, e godo del tocco della dura terra sotto i miei piedi, mentre respiro l'odore del timo e degli alberi, mi ritrovo a guardare un olivo, ed ecco che esso si trasforma dinanzi ai miei occhi nel simbolo del sumud, della perdita e della lotta. E in quello stesso momento, io sono deprivato dell'albero, e tutto attorno a me diviene rabbia e dolore".

VAI A TUTTE LE NOTIZIE SU GAZA


per approfondire...

Dossier diritti

_____
NB: I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE PRELEVATI
CITANDO L'AUTORE E LINKANDO
www.osservatoriosullalegalita.org

°
avviso legale