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08 agosto 2025
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Trattativa, il bluff del “bluff”
di Raffaele Florio

Se fosse per certi titolisti e per Damiano Aliprandi, oggi potremmo archiviare trent’anni di processi, verbali, deposizioni, intercettazioni, atti parlamentari e sentenze come una barzelletta da bar sport. “La Corte d’appello di Palermo smonta il teorema: Cosa nostra non ebbe alcun favore”. Sipario. Applausi. E via a ripetere il mantra: “Era tutto un bluff”. (1)

Peccato che la realtà – quella fatta di carte, non di chiacchiere – racconti una storia un po’ più complicata. Anzi, parecchio più complicata.

La “verità” d’appello

Partiamo dal dogma iniziale: la sentenza d’appello sarebbe la parola definitiva. No: è una parola, non “la” parola. Prima c’è stato un primo grado che diceva altro, poi un appello che ribalta, poi la Cassazione che conferma alcune assoluzioni ma non cancella i fatti accertati: contatti fra Mori, De Donno e Vito Ciancimino ci sono stati, eccome.

Il punto, semmai, è che per i giudici non bastano a fare un reato. Ma questo, per chi sa leggere, significa: fatti storici sì, reato no. Due concetti diversi che nell’articolo vengono allegramente mescolati, così il lettore si convince che non è successo niente.

“Iniziativa autonoma” o fiaba della buonanotte?

Aliprandi la mette giù così: i ROS agirono da soli, senza input politico, per fermare le stragi. Come se la storia fosse tutta lì: due carabinieri col cuore d’oro che bussano a casa di don Vito per chiedere “per favore, basta bombe”.

Le carte dicono altro: deposizioni di pentiti, verbali di Massimo Ciancimino, note interne, incontri. E soprattutto: i contatti non si fermano alla dimensione “poliziottesca”, ma lambiscono sfere politiche e istituzionali. Che poi la prova penale sia insufficiente per condannare è un conto. Raccontare che tutto si riduce a un “bluff” è un altro paio di fandonie.

La trappola “nessun reato = nessun fatto”

Trucco vecchio come il cucco: siccome il codice non prevede il “reato di trattativa” e gli imputati principali sono stati assolti, allora tutto evaporato.

Peccato che l’accusa fosse per minaccia a corpo politico dello Stato e altri reati. E che i processi abbiano ricostruito fatti concreti: incontri, proposte, “papelli” veri o presunti. Assoluzione significa: non è stato provato oltre ogni ragionevole dubbio che quei fatti costituiscano un reato. Non che i fatti siano frutto di fantasia.

Via D’Amelio: archiviazione fai-da-te

Secondo l’articolo, la trattativa non c’entra nulla con l’accelerazione della strage di Borsellino: colpa solo del dossier mafia-appalti. Peccato che il “Borsellino quater” dica che le cose sono un po’ più torbide: depistaggi, tensioni interne alla Procura, piste plurime. Nessun giudice serio si è mai sognato di chiudere la questione con un “fu solo quello”. Ma tant’è: quando il copione è “smontare il teorema”, i dettagli storici danno fastidio.

Il papello: leggenda o scomodo promemoria?

Aliprandi ride del papello e nega che i governi abbiano mai seguito i punti di Riina. Certo, Mancino – subentrato a Scotti – non ammorbidì ufficialmente la lotta alla mafia. Ma dire che nessuno dei punti sia mai stato attuato, neanche indirettamente o in tempi successivi, è come dire che Andreotti fosse timido: smentito da tonnellate di atti parlamentari e testimonianze.

Il covo di Riina: “solo un segnale” Qui la narrazione diventa comica: la mancata perquisizione del covo (anzi, della casa della famiglia) fu un “segnale” a Provenzano, ma tutto bene, assolti tutti.

In realtà, quell’episodio è un buco nero ancora oggi inspiegato in maniera univoca, e nei processi specifici gli imputati sono usciti puliti. Ma trasformare un mistero irrisolto in un “tranquilli, era tutto regolare” è giornalisticamente disonesto.

Il “nido di vipere” che non piace ricordare

E poi, per chiudere in bellezza, la rimozione totale dei conflitti interni alla Procura. Nessuna citazione delle parole di Borsellino (“mi uccideranno i miei colleghi”), dei verbali al CSM, delle testimonianze di Maria Falcone e di altri magistrati.

Troppo scomodo ricordare che il contesto in cui maturarono le stragi era un campo minato, non una favoletta con buoni da una parte e cattivi dall’altra.

Morale: confondere storia e processo è un vizio comodo. La storia serve a capire cosa è successo; il processo, a stabilire chi può essere condannato.

L’articolo di Aliprandi fa finta che coincidano. Non è giornalismo: è rimozione.

(1) Articolo su Il Dubbio dal titolo "Stato mafia, altro che presunta: la trattativa fu un vero e proprio bluff" dell'8 agosto 2022


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