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07 agosto 2025
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Russia e missili a medio raggio: squilibri e trattati
di Francesco Dall'Aglio

Il Ministero della Difesa russo, ripresa dal tweet di Medvedev che avevo condiviso, comunica che non ci sono più le condizioni per continuare, da parte della Russia, a rispettare il trattato sui missili intermedi, che gli USA hanno già abbandonato nel 2019. Il testo si è, come dire, un po’ allargato.

Il revival anni'80, che tanto ci piace, presenta anche degli inconvenienti, tipo il ritorno di quelli che all'epoca si chiamavano "euromissili", ovvero i missili a medio raggio schierati da USA e URSS sul continente europeo. Chi ha qualche anno alle spalle si ricorda, credo, i nomi: quelli cattivi erano gli SS-20 (in realtà si chiamavano RSD-10 "Pioner", ma così erano designati dalla NATO), quelli buoni erano i Pershing-II e i BGM-109 Tomahawk, detti sbrigativamente "cruise" (per me erano alternativamente buoni o cattivi a seconda del lato della cortina di ferro oltre il quale mi trovavo).

Nel 1987, però, per la precisione l'8 dicembre, Reagan e Gorbačëv firmarono a Washington il trattato INF, Intermediate-Range Nuclear Forces, che non si limitava a bandirli ma li eliminava del tutto. Un’ottima cosa, sicuramente, ma in retrospettiva (e certo tutti sono bravi, in retrospettiva) si trattò da parte dell’URSS di un’ingenuità colossale, non solo perché di lì a 5 anni l’URSS non sarebbe più esistita, cosa che oggettivamente non si poteva prevedere, ma perché il trattato stesso era pesantemente sbilanciato in favore degli USA e della NATO.

Non prevedeva, infatti, la dismissione dei missili a medio raggio lanciati da piattaforme navali o aeree: e se per quanto riguarda l’aria i sovietici avevano già sviluppato un equivalente del Tomahawk e dell’AGM-86 (ALCM) che lo sostituì di lì a poco, non avevano nulla di paragonabile ai Tomahawk lanciati da piattaforme navali perché i loro P-700 ‟Granit” o P-5 ‟Pyatyorka” erano molto meno versatili, più datati e sostanzialmente utili solo come armi anti-nave e non per colpire bersagli a terra, come i Tomahawk fecero con grande entusiasmo (e per fortuna senza carico nucleare) e gran risalto mediatico nelle varie guerre giuste degli anni ‛90.

I russi hanno colmato il divario con l’introduzione del Kalibr che però è entrato in servizio nel 2012.

La Russia quindi si è trovata incatenata a un trattato che la sfavoriva strategicamente e che, in virtù dell’allargamento della NATO e della disponibilità di basi navali e aeree per l’aviazione USA molto più a est di quanto non fossero mai state durante la guerra fredda (e molto più a sud, dopo l’ingresso in forze degli asset militari statunitensi in Iraq e, per qualche tempo, Afghanistan, cosa che tendiamo sempre a sottovalutare perché, si sa, quello che non succede in Europa non conta), senza contare il contributo che gli alleati NATO potevano dare agli USA e che non era più bilanciato dal Patto di Varsavia, che non esisteva più, aumentava di parecchio la sua insicurezza.

La situazione peggiorò ulteriormente nel 2002, quando gli USA abbandonarono unilateralmente il trattato ABM sulla limitazione dei missili balistici (presidenza George Bush, ma il recesso fu votato già nel 1997 durante la presidenza Clinton, anche se il congresso era a maggioranza repubblicana).

Per rassicurare la Russia si disse che l’abbandono del trattato non era diretto contro di loro ma contro i ‟rogue states” tipo Iran o Corea del Nord, ma la rassicurazione non servì a molto soprattutto perché contemporaneamente gli USA cominciarono a giocherellare con il concetto EIS, European Interceptor Site, un sistema antimissile a medio raggio anti-missili balistici.

Anche qui i bersagli erano nominalmente Iran e Corea del Nord, ma la base doveva essere in Polonia – cosa che, come è facile capire, non venne accolta benissimo a Mosca. Nel 2009 (c’era già stato il ‟discorso di Monaco” di Putin nel 2007 e, soprattutto, il vertice NATO di Bucarest nel 2008) l’amministrazione Obama passò all’EPAA, European Phased Adaptive Approach: al posto dell’EIS ci sarebbe stato l’Aegis Ashore, ovvero una versione lanciabile da terra del sistema missilistico navale Aegis BMD che utilizza missili SM-3, da piazzare sempre in Polonia, a Redizikowo, entro il 2018.

I lavori per la costruzione della base iniziarono nel 2016 ma un po’ di ritardi e la questione del Covid hanno ritardato l’inaugurazione del sistema al 2024; intanto però già dal 2016 era operative la base di Deveselu, in Romania, equipaggiata sempre con il sistema Aegis Ashore. La pezza giuridica, diciamo così, era sempre la stessa: gli SM-3 sono missili difensivi, non offensivi, quindi anche se il raggio operativo è esattamente quello proibito dal trattato INF non conta.

La Russia ha risposto che gli SM-3 certamente lo sono, ma che non lo sono i Thomawak, che l’Aegis può teoricamente lanciare, e mentre noi eravamo distratti da tutt’altre questioni, questa, unita ovviamente alla situazione in Ucraina, fu la controversia che avvelenò definitivamente i rapporti tra USA e Russia.

Alla fine furono gli USA a uscire dal trattato, nel 2019 con decisione presa nel 2018 (presidenza Trump), sostenendo che fosse stata la Russia ad averlo violato (questo già nel 2014, presidenza Obama) schierando due battaglioni armati di missili 9M729 (che la NATO designa come SSC-8, e che in Russia sono anche noti come ‟Novator” perché li produce, appunto, la OKB Novator) solo nominalmente a corto raggio ma in realtà, sempre secondo gli USA, con un raggio di circa 2500 km.

Questa accusa non è stata provata (come quella russa che l’Aegis può lanciare i Tomahawk) ma ha consentito agli USA di ritirarsi dal trattato, che la Russia ha invece continuato a rispettare provando più volte a convincere gli USA a rientrarci.

Il 26 ottobre 2020, ad esempio. Putin aveva proposto (link 1, già in inglese) una moratoria che comprendesse ‟misure di verifica reciproche sui sistemi Aegis Ashore con lanciatori MK-41 che sono schierati nelle basi USA e NATO in Europa, così come sui missili 9M729 nei siti delle Forze Armate della Federazione Russa nella regione di Kaliningrad” e, nonostante i missili 9M729 non rientrassero tra quelli proibiti dal trattato si diceva disposto a non schierarli a patto che i paesi NATO prendessero misure analoghe.

Il 25 dicembre 2020 (link 2) Vladimir Ermakov, in una lunga intervista per RIA Novosti nella quale toccava parecchi punti, tornava sulle procedure di controllo reciproche includendovi esplicitamente i 9M729 schierati a Kaliningrad, e l’11 febbraio 2021 Sergey Ryabkov (link 3, dal minuto 15) ripeteva il concetto aggiungendo che lo si poteva estendere anche all’area dell’Asia e del Pacifico. Nonostante queste aperture, né l’amministrazione Trump I né l’amministrazione Biden fecero un passo per provare a disinnescare la tensione, con i risultati che vediamo adesso.

Non solo, ma dal 2024 gli USA hanno schierato nelle Filippine (non contro la Russia quindi, ma contro la Cina) i sistemi missilistici Typhon, che impiegano una versione lanciabile da sistemi di terra del missile navale SM-6 e del Tomahawk, che torna così alla sua origine da ‟euromissile”. Le batterie sono state portate nelle Filippine nell’aprile 2024 per una esercitazione, ma stranamente pare non riescano a tornare a casa e anzi il loro numero è aumentato.

Per quanto riguarda la Russia, appena il mese scorso, il 15 luglio, il Ministero della Difesa tedesco ha annunciato che la Germania intende acquistare alcuni sistemi Typhon. Se quindi mettiamo insieme l’Aegis Ashore, i Typhon che la Germania intende schierare, le atomiche a gravità che gli USA hanno spostato in Gran Bretagna e l’ultima sparata sui sommergibili nucleari, sembra abbastanza chiaro il motivo per cui la Russia ha deciso di uscire anch’essa dal trattato.

Dal punto di vista pratico, la Russia si sente ora autorizzata a schierare sul suo territorio, regione di Kalningrad inclusa e probabilmente anche Bielorussia, una serie di armamenti che finora non schierava: non solo i 9M729, ma anche versioni terrestri del Kalibr e dello Tsirkon, e gli Iskander 1000 a gittata aumentata, per non parlare dell’Oreshnik.

Niente più ‟gesti di buona volontà”, quindi, ma una risposta abbastanza decisa a una situazione escalatoria che la Russia ha lasciato sobbollire per un po’, prima di decidersi a rispondere. Inoltre, nella risposta russa si sottolineano le azioni escalatorie degli USA non solo nel teatro europeo, ma anche in quello indo-pacifico, in un assist evidente alla Cina. Sarà interessante vedere se decideranno di schierare qualcosa anche in Corea del Nord.


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