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05 agosto 2025
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Ritorno del fascismo: oggi di nuovo presenti le condizioni
di Giuseppe Franco Arguto

𝙉𝙤𝙣𝙤𝙨𝙩𝙖𝙣𝙩𝙚 𝙞𝙡 𝙘𝙧𝙤𝙡𝙡𝙤 𝙙𝙚𝙞 𝙩𝙤𝙩𝙖𝙡𝙞𝙩𝙖𝙧𝙞𝙨𝙢𝙞, 𝙡𝙚 𝙥𝙧𝙚𝙢𝙚𝙨𝙨𝙚 𝙙𝙚𝙞 𝙢𝙤𝙫𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙞 𝙛𝙖𝙨𝙘𝙞𝙨𝙩𝙞 𝙘𝙤𝙣𝙩𝙞𝙣𝙪𝙖𝙣𝙤 𝙖 𝙨𝙪𝙨𝙨𝙞𝙨𝙩𝙚𝙧𝙚 𝙨𝙪𝙡 𝙥𝙞𝙖𝙣𝙤 𝙨𝙤𝙘𝙞𝙖𝙡𝙚, 𝙨𝙚 𝙣𝙤𝙣 𝙖𝙣𝙘𝙝𝙚 𝙨𝙪 𝙦𝙪𝙚𝙡𝙡𝙤 𝙙𝙞𝙧𝙚𝙩𝙩𝙖𝙢𝙚𝙣𝙩𝙚 𝙥𝙤𝙡𝙞𝙩𝙞𝙘𝙤.
(Theodor W. Adorno, "Aspetti del nuovo radicalismo di destra, Marsilio, 2020, p.14)

Nonostante la fine storica dei regimi totalitari novecenteschi, le condizioni che permisero l’ascesa del fascismo permangono, oggi, sotto forme aggiornate ma altrettanto pericolose.

Theodor W. Adorno già metteva in guardia da un ritorno del fascismo “in democrazia”: non come ripetizione storica, ma come esito delle medesime dinamiche sociali, economiche e psichiche che, nel nuovo contesto neoliberale, plasmano soggettività autoritarie e favoriscono derive reazionarie.

Gli studi sulla personalità autoritaria mettevano in luce un intreccio tra subalternità al potere, conformismo, sadismo e pensiero stereotipato. Ma oggi è evidente che la produzione sociale di soggettività conformiste e repressive non è solo una questione psicologica: è un dispositivo strutturale. Il neoliberismo, disintegrando legami sociali, erodendo diritti e precarizzando l’esistenza, produce l’humus perfetto per il risorgere di pulsioni fascistoidi.

Leader conservatori che puntano il dito sulle minoranze per giustificare la decadenza del ceto medio-basso; una strategia politica che confonde la mancanze di idee innovative e la difesa dei valori tradizionali, dell'identità di popolo e di cultura, quando proprio essa è arenata nei pregiudizi e negli stereotipi di massa. Così le persone appartenenti ai profili medio-bassi sociali, convertono il loro declassamento – reale o percepito – in un bisogno di compensazione identitaria.

Ed è qui che interviene la destra radicale populista: non redistribuisce ricchezza, non protegge il lavoro, ma offre identità autoritarie, nemici da odiare, finte sicurezze. Il neoliberismo crea l’insicurezza, la destra ne gestisce le conseguenze canalizzandole verso il razzismo, la misoginia, la transfobia, l’odio contro i poveri.

Queste destre non sono un’alternativa al neoliberismo: è la sua prosecuzione con altri mezzi. Laddove il neoliberismo “progressista” si presentava con la maschera dei diritti civili (pur svuotati dalla disuguaglianza economica), la destra autoritaria ne conserva la logica individualista, meritocratica e antipopolare, ma la traveste di ordine, tradizione e patriarcato. Il “me ne frego” del fascismo e l’“imprenditore di sé stesso” del neoliberismo convergono: entrambi negano la solidarietà.

In tutto questo, la democrazia formale resta solo un guscio vuoto, e viene utilizzata per legittimare il potere di élite che disprezzano apertamente l’uguaglianza. Mentre i ricchi rafforzano la propria posizione, i ceti impoveriti, disillusi e privati di alternative radicali, vengono sedotti da figure “forti” che si presentano come nemici del sistema, ma che ne sono in realtà i guardiani più feroci.

Il paradosso è dunque solo apparente: non è la miseria materiale che genera il fascismo, ma l’umiliazione di chi si credeva garantito e oggi si sente “tradito” – non dalle classi dominanti, ma da chi chiede giustizia. Per questo l’odio si riversa verso il basso, verso i migranti, le donne libere, i poveri “assistiti”, i lavoratori organizzati. Mentre in alto si applaude.

L’unica risposta possibile non può che essere una rottura radicale con entrambe le logiche – quella neoliberale e quella reazionaria. Ricostruire pratiche collettive di resistenza, solidarietà e autogoverno, non sarà solo un’urgenza sociale: sarà un atto di sopravvivenza politica.


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