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Grossman, il poliziotto buono
di Rossella Ahmad
Non volevo neanche parlarne, e riservare alle parole di Grossman lo stesso interesse che riservo ai tornei parrocchiali di bocce. Sembra invece che per molti filo-palestinesi della domenica l'intervista al galiziano diversamente semita sia il vero punto di svolta nella risoluzione della questione delle questioni. 'Na cosa grande, insomma. Che ha un peso.
Ripigliatevi, per carità.
E solo dopo esservi ripigliati, spiegatemi in quale modo e maniera le parole di uno scrittore tra l'altro totalmente funzionale al sionismo possano essere utili alla fine della carneficina di Gaza.
Una premessa. Di Grossman ho letto solo - e mi è avanzato - "Il Vento Giallo" ai tempi in cui la prima intifada era già stata stroncata da anni nel sangue. Il frutto avvelenato di quella repressione furono gli accordi di Oslo, il cui scopo - lo abbiamo visto - non era certo quello di restituire giustizia al popolo palestinese ma piuttosto riabilitare l'immagine di uno stato coloniale che sparava in testa ai bambini e spezzava le ossa ai ragazzini palestinesi, pratica di cui il mondo era venuto a conoscenza.
Per caso, attraverso le immagini rarefatte che un obiettivo aveva catturato in lontananza: braccia rinsecchite stese tra due pietre, e militari d'occupazione che fracassavano l'omero con dei massi, con dei bastoni, con il calcio dei mitra.
Il Vento Giallo è un reportage dello scrittore nei territori occupati nel periodo immediatamente precedente l'intifada. Un lavoro tutto sommato onesto, in cui si dava voce, forse per la prima volta da parte israeliana , alla società civile palestinese, agli uomini ed alle donne dei campi, agli anziani superstiti della Nakba e degli infiniti tentativi israeliani di soffocare nel sangue la resistenza di un popolo all'interno della sua terra.
Nonostante la inusuale cornice narrativa dei palestinesi che parlavano di se stessi, mi colpì già allora la quasi totale "asetticità", non so come altro definirla, dello scrittore rispetto a ciò narrava. Quei palestinesi erano nei campi profughi per un insindacabile volere delle Alte Sfere, e dunque nessun senso di colpa da parte sua, nessun coinvolgimento emotivo, nessun conflitto interiore nel narrare storie di dispossesso, di pulizia etnica, di furto a mano armata di cui anche lui era responsabile.
Lessi poi, in seguito, che uno dei suoi figli - un riservista dell'esercito - era rimasto ucciso durante l'invasione del Libano e mi fu chiaro, una volta di più, del grande abbaglio preso da tanti filo-palestinesi della domenica: l'inesistenza cioè di un sionismo di "sinistra" e l'esistenza invece concreta e reale di queste figure mitologiche funzionali al progetto sionista ancor più dei loro omologhi genocidi conclamati.
Tra le due tipologie di individui, loro erano i peggiori.
Gli apologeti dei due stati sguinzagliati in giro per il mondo, giullari e cantori di una favola bugiarda. Il mezzo subdolo con cui tenere buoni i palestinesi, con l'intermezzo di trent'anni di girotondi, marce infinite e mani stese da un lato all'altro di un muro che diveniva sempre più alto, e fagocitava sempre più terre palestinesi.
E mentre i Grossman d'israele disquisivano in tutti i salotti bene del progressismo occidentale sull'enorme dolore di israele, sempre esso, nell'essere costretto, suo malgrado, alle maniere forti - i generali, sul campo, facevano polpette del cosiddetto stato palestinese, della legge internazionale, delle nostre stesse democrazie, trasformatesi in cani da guardia di un progetto di dominance globale.
Leggo che bisognerebbe aggrapparsi alle parole dei Grossman d'israele per il bene dei palestinesi. Consentitemi uno scetticismo grande quanto i sette mari e più. E aggiungo che amo talmente questo popolo da pensare che sia vero esattamente il contrario.
E cioè che esse siano completamente inutili, ininfluenti, totalmente incapaci di modificare fosse anche di uno iota progetti vecchi di decenni, e sul punto di essere realizzati.
Puri esercizi di retorica. Il vecchio, deprimente giochetto dei due sionisti, quello buono e quello cattivo.
Basta, per pietà. Cominciate a parlare di cose serie. Di resistenza. E di palestinesi, ad esempio.
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