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03 agosto 2025
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Santanché si vuol difendere dal processo e non nel processo
di Raffaele Florio

Daniela Santanchè, al secolo Ministra del Turismo con delega all’arroganza, ha deciso di giocarsi il jolly più sporco del mazzo: la richiesta al parlamento (minuscolo d’obbligo) di non autorizzare l’uso delle intercettazioni che la incastrerebbero nella truffa aggravata ai danni dell’INPS durante il periodo Covid. Roba che, in un Paese normale, basterebbe per farla dimettere tre volte, chiedere scusa e farsi dimenticare. Ma da noi, dove il garantismo vale solo per i potenti, diventa l’ennesimo episodio della saga “Io non pago”.

Che cosa contengano quegli audio non è difficile immaginarlo, vista la tempestività con cui li teme. I PM di Milano l’accusano di aver continuato a prendere soldi pubblici per la cassa integrazione, mentre i dipendenti lavoravano eccome. E non a caso è stata rinviata a giudizio. Ma lei, invece di difendersi nel processo, preferisce difendersi dal processo, con la complicità dei suoi colleghi parlamentari, che stanno già lucidando lo scudo dell’impunità.

Del resto, non è la prima volta che Santanchè ci prova. Anzi, se fosse un talento olimpico, avrebbe già vinto l’oro in vittimismo istituzionale. C’è il caso Visibilia, la sua ex società editoriale con bilanci ballerini e debiti ben poco spirituali. C’è il caso dei lavoratori non pagati, con accuse che oscillano tra il cinismo aziendale e il mobbing da manuale. E poi le bugie spudorate in aula, quando negava l’evidenza con la flemma di chi è certa che tanto nessuno la toccherà.

Perché tanto, alla fine, funziona sempre così: fanno muro, strillano al complotto, accusano i magistrati, e si affidano all’unico articolo della Costituzione che conoscono bene: il 68, quello che li rende impunibili.

Santanchè, nel frattempo, se la ride. Lei non molla, lei non spiega, lei non si dimette. Anzi, rilancia. E come sempre, alza la posta: si fa scudo del suo ruolo da ministra per impedire che i magistrati facciano ascoltare quelle voci che, a suo dire, non dicono nulla. Ma allora perché tanto affanno per zittirle?

La verità è semplice e brutale: Santanchè ha capito che la politica italiana non punisce, protegge. Non seleziona i migliori, ma preserva i peggiori. Chi mente, ruba, trucca e truffa non viene cacciato. Viene promosso. Basta gridare al linciaggio, fingersi martire e aggrapparsi al partito giusto. L’Italia è un Paese dove più sei inquisito, più ti applaudono. Dove chi ruba agli ultimi, basta che porti i tacchi e urli in TV, diventa un’eroina.

E il parlamento, come sempre, farà il suo dovere: non verso i cittadini, ma verso il club. Salveranno la Santanchè, come hanno salvato altri prima di lei. Perché tra "presunti" truffatori non ci si tradisce.

Intanto, fuori dal Palazzo, milioni di italiani aspettano ancora i ristori, i pagamenti INPS, le promesse fatte in pandemia. Ma quelli non fanno notizia. Non hanno audio. Non hanno voce.


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