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La risposta di Tassos, il greco
di
Rinaldo Battaglia *
Devo ammetterlo: studiare la storia dei campi di concentramento fascisti sul suolo ‘patriottico’ è come fare l’archeologo nelle rovine di Troia o dell’Antico Egitto. Nessuno in Italia sa nulla e quando scoprì qualcosa, che giudichi interessante, ti sembra impossibile che il silenzio abbia coperto – e sempre così fortemente -questi crimini.
Perché da noi, nel tipico ’alfabetismo storico’ dell’italiano medio, studiare il nostro passato risulta un’impresa ardua e quasi esclusiva. Da pochi eletti, quasi utile per farsi distinguere dall’italiano ‘comune’. Eppure, la conoscenza della Storia è legittima difesa, perché soltanto chi è debitamente informato risulta in grado di fare scelte consapevoli, anche e soprattutto sotto il profilo politico.
Piero Terracina, non a caso, amava dire che ‘la memoria non è il ricordo, ma quel filo che lega il passato al presente e condiziona il futuro’. E se tu non conosci il passato del tuo paese, di conseguenza, nei fatti sei monco, ti manca qualcosa, sei carente e debole rispetto agli altri.
Oggi è il 1° agosto e l’occasione mi permette di parlare di un campo fascista situato nella bergamasca, terra che ho frequentato e che sufficientemente conosco.
A Grumello del Piano, una località a pochi chilometri da Bergamo esisteva infatti dai primi di agosto del 1941 a poco dopo l’8 settembre 1943, il campo n. 62. In teoria ed almeno inizialmente era solo per prigionieri di guerra, ossia nemici presi ‘con le armi in pugno’, peraltro solo di grado inferiore (sottufficiali e truppa). I primi dati, disponibili e documentati (marzo ’42) sul numero dei prigionieri, indicavano la presenza di 2.640 deportati, quasi tutti jugoslavi, dopo la nostra invasione del 6 aprile 1941 e della messa in atto di un regime di terrore, sulla popolazione anche civile, con la ‘non-famosa’ Circolare 3 C, ordinata dal Duce e creata al suo braccio operativo, il gen. Mario Roatta. E precisamente: 208 croati, 1.046 serbi, 666 montenegrini, 720 albanesi.
Solo dal settembre ’42 sono documentati arrivi anche di altri paesi, come i 371 francesi (di De Gaulle, ovviamente non certo del regime fascista di Vichy alleato dei nazisti) catturati in particolare nella Guerra d’Africa e che aumenteranno a 523 già a Natale, di cui 315 ‘di colore’ (e portando la presenza nel campo a ben 2.491 deportati).
Le cose cambiarono in peggio tra gennaio e febbraio del 1943, quando arrivarono a Grumello del Piano anche 877 prigionieri di guerra greci provenienti dal campo fascista in terra ligure, il n. 95 di Cairo Montenotte, destinato da allora solo ad internare famiglie slave, rastrellate nell’Istria e nella Dalmazia nella nostra patriottica ‘pulizia etnica’. Sì, pulizia etnica: quella di cui in Italia nessuno mai parla, forse perchè propedeutica alle foibe slave, comuniste di Tito e no.
A marzo con l’arrivo anche di prigionieri inglesi, nel campo di Grumello si raggiunse il numero di 3.104 deportati, oltre ogni limite di spazio e soprattutto con il continuo ridursi della capacità di sfamare tutte quelle bocche. Eravamo nella primavera del ’43 e anche in Italia la guerra ci stava mordendo, l’Africa era andata perduta e la Russia ingoiato oltre 120.000/130.000 nostri uomini. La fame stava diventando il problema numero 1.
Come non bastasse, dopo il 4 aprile arrivarono altri 730 inglesi, lì trasferiti dal campo di Gravina. Si cercò così di assegnare parte dei deportati in ‘distaccamenti’ sempre, tuttavia, dipendenti dal campo centrale di Grumello (come i distaccamenti di Caravaggio, Palosco, Fontanella, Passo Maniva, Edolo, Buccinasco, Truccazzano e Villa D'Adda). Ma il problema alimentare restava e cresceva.
Certo: esistevano accordi con aziende lombarde ove far lavorare i prigionieri (come lo stabilimento della SNIA Viscosa di Cesano Maderno, della Falk di Sesto San Giovanni, della società S.P.A.I. di Milano), che li sfruttavano ma nel compenso pagavano un rimborso al comandante del campo, il fascistone colonnello Francesco Paolo Turco.
Documenti provano che già dal 15 marzo 1942, almeno 100 prigionieri furono dirottati al campo di lavoro N. 115 di Morgnano a disposizione della Società Anonima Terni. Il 5 maggio 1942 altri 200 al campo N. 113 di Avio, in provincia di Trento, e ancora, il 22 maggio del 1942, altri 50 prigionieri al campo N. 55 di Busseto (Parma) per lavori agricoli. E via a seguire.
Il ‘problema fame’ venne – sulla carta - risolto dal Ministero della Guerra il 23 febbraio 1942 (con la circolare n. 2064/2595) riducendo – sì, riducendo - la razione di pane spettante ad ogni deportato. Inizialmente solo a chi non lavorava all’esterno, ma già dal mese successivo anche a questi. Semplice, elementare. Inevitabili le conseguenze: il 28 maggio 1942 venne registrata la morte di altri 2 deportati e il ricovero di oltre 100 all'ospedale di Piacenza "per deperimento organico, di cui la causa principale sarebbe da attribuirsi alla riduzione della razione viveri".
E si arrivò in questa situazione disperatamente all’8 settembre 1943 con la fuga, dapprima, dei comandanti fascisti e, poi, dei prigionieri. E qui emerse la figura di Tassos, il greco. All’anagrafe si chiamava Anastasios Papadopoulos. Ma per per i disperati della zona era solo Tassos, il greco della Grumellina. Qualcuno per renderlo più italiano e familiare lo chiamerà anche solo ‘Tassi’.
Per mesi, anziché scappare e salvare la pelle, si dette da fare cercando di facilitare la fuga e lo sconfinamento in Svizzera di molti suoi ex-compagni di prigionia. Per mesi e mesi, collaborando attivamente coi partigiani della zona. E ovviamente non solo ex-deportati, ma a seguire ebrei o qualsiasi altro disperato bisognoso di un viaggio nella più sicura Svizzera. Non chiedeva loro la provenienza, ne facilitava solo la destinazione e la fuga. Aveva sofferto troppo nei mesi nei campi del Duce di Cairo Montenotte e di Grumello al Piano, capiva cosa volessero dire le parole ‘terrore’ e ’fame’ e, anziché fermarsi definitivamente (o almeno fino al termine di quella guerra) in luoghi più tranquilli e meno ‘fascistizzati’, cercò di salvare altre vite disperate. Era la sua risposta al male subito.
Solo che la sua ‘particolare attività’ non poteva durare a lungo.
Il 1° agosto 1944, Tassos, il greco della Grumellina, oramai individuato e cercato dai fascisti di Salò, venne intercettato ad Ornica, sempre nella bergamasca, dai repubblichini della 612ª compagnia OP della GNR, al comando del tenente Allegretti, mentre stava rientrando dalla Valtellina insieme solo al partigiano Tito Spini. Sebbene armato, non potè far altro che arrendersi. Mentre Tito Spini venne portato al carcere di Bergamo, Tassos, il greco, fu subito fucilato. Come un cane, senza perder tempo. Quel giorno il fascismo vinse la sua battaglia ed eliminò un nemico che salvava vite, per il Duce, ‘non degne di esser vissute’.
E il suo nome venne così cancellato dalla Storia del nostro paese. Ma cos’era stato? Uno straniero, un deportato, un prigioniero di guerra, un extracomunitario senza patria né diritti diremmo oggi? ‘Razza’ inferiore?
Di certo: era un uomo. Ma anche un nome a cui non dedicheranno mai vie o piazze. Eppure, eppure al momento di scegliere, scelse di lottare contro le ingiustizie del nazifascismo e, nel caso specifico, del nostro fascismo. Era la sua risposta al male subito. Nessuno conosce bene quella figura, troppo anonima ed invisibile. E soprattutto troppo controcorrente alla narrazione, nell’ultimo periodo, molto di moda nella nostra Italia.
Ma come sempre, tra le pagine nere e le pagine bianche, come cantava Francesco De Gregori, qualcosa rimane. Natale Mazzolà, uno dei capi partigiani delle ‘Fiamme verdi’ che operava nel bergamasco, nel 1960 pubblicò il suo libro di memorie partigiane (‘Pietro aspetta il sole’ – ed. Farri stampatori in Trastevere) e ricordò al mondo anche le gesta di Tassos, il greco della Grumellina e la sua risposta al male subito. Più di recente (2010) anche gli storici Tarcisio Bottani, Giuseppe Giuppone e Felice Riceputi nel loro ‘La Resistenza in valle Brembana e nelle valli limitrofe’ (ed. Corpo Nove, Bergamo) hanno posto in luce la sua figura, meritatamente.
A titolo informativo, oggi 81 anni dopo, l’ex campo fascista di Grumello del Piano, da oltre 10 anni, è stato trasformato in fabbricato industriale e in una parte a laboratorio di lavoro, con studi professionali, botteghe e spazi di aggregazione.
”Da simbolo di sofferenza a luogo di condivisione: il 'lager alla Grumellina' di Bergamo riconvertito in spazi per aziende artigiane e posti di ritrovo”. Così il 27 gennaio 2012 – Giorno della Memoria – scriveva ‘L’Eco di Bergamo’.
Il tempo passa, gli immobili (come gli uomini) cambiano destinazione d’uso e i tanti piccoli eroi - come Tassos, il greco – cancellati dalla memoria. Non vi si trovano tracce con facilità, persino Wikipedia non lo cita.
Conoscerlo è stato come fare l’archeologo nelle rovine di Troia o dell’Antico Egitto. Eppure, la conoscenza della Storia è legittima difesa, perché soltanto chi è debitamente informato risulta in grado di fare scelte consapevoli, anche e soprattutto sotto il profilo politico.
‘La memoria non è il ricordo, ma quel filo che lega il passato al presente e condiziona il futuro’.
Per questo oggi 1° agosto, nell’81° anniversario della sua uccisione, mi permetto di dedicargli due righe. Il minimo che io possa fare, a suo onore e a onore di tutti gli altri eroi anonimi ed invisibili, che hanno contribuito a sconfiggere il fascismo – almeno così si dice sui libri di scuola, almeno così ho sentito dire - e che sono morti per la libertà. Anche per la mia, anche per quella degli altri, che non lo sanno e non lo capiscono ancora. Ivi compresi di diritto ovviamente i nostalgici, magari anche per quelli che a Roma oggi siedono nelle Alte Cariche dello Stato.
1° agosto 2025 – 81 anni dopo - Liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Seconda Parte” - Amazon – 2024
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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