 |
Quaranta giorni di ipocrisia
di Cristina Siqueira
Standing ovation per l’ipocrisia.
Annunci che non salvano vite.
Malta, Regno Unito, Portogallo, Francia e Germania hanno deciso di riconoscere lo Stato di Palestina.
Quando? Alla Assemblea Generale dell’ONU del 10 settembre 2025.
Cioè tra 40 giorni.
Quaranta giorni in cui si può ancora bombardare, armare, stringere mani e pulirsi la coscienza con qualche dichiarazione fotogenica.
Nel frattempo – udite udite – questi stessi governi continuano a rifornire Israele con un arsenale da guerra attiva:
_ componenti per F-35
_ munizioni di grosso calibro
_ armi leggere
_ sistemi di puntamento
_ parti per droni e mezzi blindati
Non “forniture difensive”. Strumenti di morte, forniti mentre parlano di pace.
E mentre Gaza viene ridotta in polvere, questi governi parlano di “riconoscimento” con la stessa serietà con cui si lancia una campagna marketing.
Un riconoscimento che non sposta confini, non ferma bombardamenti, non impone condizioni.
È carta da dichiarazione, non giustizia da applicare.
La copertura politica? Totale.
La copertura mediatica? Addomesticata e complice.
Le sanzioni? Ma per favore. ZERO. Nulla. Neanche per sbaglio.
Neanche un embargo simbolico, neanche una stretta di sopracciglio.
Eppure, a ogni micro-dissenso verso Israele, gridano all’antisemitismo come se stessimo parlando delle crociate.
Nel frattempo, dai palchi dell’ipocrisia internazionale, si susseguono premi alla coerenza che nemmeno agli Oscar.
Anzi, facciamo due Oscar:
- Miglior finzione diplomatica
- Miglior sostegno militare travestito da pace.
Allora, domandiamoci:
Fino al 10 settembre — questi paesi manterranno intatti i legami militari, strategici e di intelligence con Israele?
Fino ad allora continueranno a inviare armi, soldi e silenzi compiacenti, mentre a morire sono sempre gli stessi, sempre i più fragili, sempre chi soffre?
E soprattutto: entro quali confini intendono riconoscere la Palestina?
Quelli delle risoluzioni ONU? O quelli disegnati con il pennarello scarico della retorica?
E mentre i governi annaspano tra finzioni e doppiezze, nelle piazze si chiede giustizia, nei palazzi si firma per i droni.
L’opinione pubblica si indigna, ma chi governa preferisce voltarsi dall’altra parte, finché la polvere di Gaza non filtra più neppure nei titoli.
Aspettiamo. Ma a questo punto, almeno, chiamiamo le cose col loro nome: complicità, ipocrisia, colonialismo 2.0, sottomissione geopolitica, doppio standard e silenzio omicida.
Altro che riconoscimento: qui si continua a finanziare, armare e proteggere uno sterminio, con la mano sinistra sul cuore e la destra sul grilletto.
Quaranta giorni ancora.
Quaranta giorni di bombe, silenzi e menzogne diplomatiche.
E poi ci verranno a dire che è cambiato qualcosa.
E noi?
Continueremo a digerire tutto questo come fosse normale, o inizieremo almeno a nominarlo per quello che è — oltre che ribellarci?
VAI A TUTTE LE NOTIZIE SU GAZA
 
Dossier
diritti
|
|