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La fame a Gaza
di Rossella Ahmad
Ho un grande pudore nell'approcciarmi alla fame di Gaza. Lo scrissi molti post fa. Quando vedevo quelle folle di bambini accalcati con pentole e contenitori di fortuna tra le mani, in attesa di ricevere la loro razione di cibo da enormi pentoloni di preparati semi-industriali, spesso non riuscendovi, sentivo una fitta allo stomaco.
Immaginavo le madri nelle tende, gli adulti di riferimento, troppo orgogliosi per mettersi in fila per un pugno di riso. Questo compito grave, ingrato, toccava ai più piccoli: fotografati e ripresi nello sforzo di guadagnare in qualche modo il sostentamento quotidiano delle famiglie, erano l'immagine plastica del tentativo di ridurre a questione umanitaria una questione strettamente politica.
Chi conosce il popolo palestinese sa quanto gli costi elemosinare il cibo. È gente antica, dall'animo nobile, appartenente ad una cultura che considera la condivisione e la misericordia verso ogni essere vivente valori eterni e non negoziabili.
Sono testimone oculare dei più grandi atti di generosità mai visti nel corso della mia vita, tutti verificatisi lì, nel quadrilatero ideale dell'area siro-palestinese. Ricordi che restano nel cuore come perle in uno scrigno, come balsamo a cui attingi per smorzare le amarezze del presente.
Un detto del profeta narra che un uomo si guadagnò l'inferno per non aver nutrito un gatto. Mai il profeta avrebbe potuto immaginare che 1400 anni dopo, nell'epoca del lumi e dei diritti, un popolo di civili e di bambini sarebbe stato scientemente affamato, con sadismo, e costretto a barattare la sua dignità con la sopravvivenza dei suoi figli.
Perché con il passare del tempo, con lo spettro della fame che diviene ogni giorno più concreto, visibile e pressante, e nel momento in cui lo spettro assume le fisionomie reali di esseri umani ridotti ad ologrammi, anche l'orgoglio viene meno.
Taccio sull'orrore della Gaza Humanitarian Foundation. Tutto è già noto, esecutori e mandanti, a proposito di questo strumento di tortura e di genocidio, intenzionalmente concepito per avvilire un popolo traumatizzato , per tentare di spegnerne ogni anelito, per abbatterlo con facilità, come bestiame nei recinti di metallo.
La fitta allo stomaco diviene una serie infinita di sprangate inferte in ogni angolo del mio corpo.
Un senso di oppressione che diviene ira funesta al pensiero dei Sechi viscidi, molli e grassocci - abituati a mangiare molto, ed a sbafo - che discutono su cosa sia la fame esattamente allo stesso modo in cui ieri discutevano su cosa fosse genocidio, con l'occhio fisso del rapace.
Bullshit, dice Piers Morgan - un sionista della prima ora, ma persona onesta.
A Gaza c'è fame, a Gaza c'è un genocidio, e per i mentitori seriali che brindano sui teschi dei bimbi uccisi giungerà il tempo della vendetta, che sarà implacabile.
La nemesi, "la giustizia distributiva punitrice di quanto, eccedendo la misura, turba l'ordine dell'universo".
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