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31 luglio 2025
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Omer Bartov, esperto in genocidio, intervistato dal NYT
trad. di Paolo Mossetti

Il New York Times ha intervistato Omer Bartov, uno dei massimi esperti mondiali di genocidi, cresciuto in Israele, che ha prestato servizio nell'IDF e oggi è sulla bocca di tanti per aver definito «genocidio» ciò che avviene a Gaza. Un dialogo di semplice buon senso e lucidità, ma dirompente per la grande stampa statunitense:

NYT: All’inizio, un mese dopo il 7 ottobre, scrivesti che “non ci sono prove che a Gaza sia in corso un genocidio”. Cosa ti ha portato a cambiare idea?

Bartov: Quell’articolo era un avvertimento. Dicevo che l’IDF stava commettendo crimini di guerra e che, se non fermato, ciò poteva degenerare in genocidio. Speravo che qualcuno — negli Stati Uniti o in Israele — intervenisse. Se Biden avesse detto a Netanyahu, a novembre o dicembre 2023: “Hai due settimane per chiudere”, Israele si sarebbe fermato. Invece ho visto che le dichiarazioni dei leader israeliani - “distruggere Gaza”, “nessuno è innocente lì”, “sono animali umani” - venivano messe in pratica dall’IDF. A maggio 2024 ho concluso che l’operazione mirava non solo a distruggere Hamas e liberare gli ostaggi, ma a rendere Gaza invivibile e a impedire ai palestinesi di ricostituirsi come gruppo anche dopo la fine dei combattimenti.

NYT: Come definisci un genocidio?

Bartov: Il termine fu coniato da Raphael Lemkin, un giurista ebreo polacco, che lo definì come l’intento di distruggere un gruppo in quanto tale, non solo uccidendo, ma rendendo la vita impossibile. Non conta solo il numero delle vittime, ma l’intento e l’azione per cancellare un gruppo attraverso violenza, fame, distruzione culturale e sanitaria.

NYT: Alcuni critici sostengono che Israele uccida i palestinesi non perché sono palestinesi, ma perché combatte Hamas. Che ne pensi? Bartov: Anche se non è una dottrina razziale come quella nazista, Israele sta combattendo i palestinesi come popolo, per negare loro diritti e autodeterminazione.

NYT: Un’altra obiezione è che Hamas potrebbe fermare tutto arrendendosi e liberando gli ostaggi.

Bartov: Questa è propaganda. Se Hamas si arrendesse, Israele non smetterebbe: continuerebbe a distruggere Gaza e ad occuparla. Lo stesso Netanyahu ha detto che vuole una vittoria totale.

NYT: E perché i bombardamenti su Dresda o Hiroshima non furono considerati genocidi?

Bartov: Perché, una volta occupate, Germania e Giappone furono ricostruite, non cancellate. Israele invece non offre ai palestinesi alcuna prospettiva di rinascita o coesistenza, ma solo distruzione.

NYT: Hai fatto il militare a Gaza da giovane. Quanto ha influito su di te?

Bartov: Moltissimo. Ho vissuto il senso di essere un occupante indesiderato, la deumanizzazione reciproca. In Israele l’occupazione ha corrotto la società. Oggi molti israeliani non pensano nemmeno che i palestinesi abbiano diritto alla pari dignità.

NYT: Questa deumanizzazione è un presupposto per il genocidio?

Bartov: Sì. Si comincia descrivendo un gruppo come meno che umano, privo di diritti. Questo linguaggio, questa mentalità sono un segnale preoccupante.

NYT: Che impatto avrà Gaza sull’idea del “mai più” e sulla memoria dell’Olocausto?

Bartov: Israele ha usato l’Olocausto per giustificare ogni azione. Ma la distruzione di Gaza sta erodendo quel capitale morale. La pedagogia del “mai più” sta fallendo: molte istituzioni che predicano tolleranza oggi tacciono su Gaza, riducendo la memoria dell’Olocausto a un discorso etnico tra ebrei.

NYT: È possibile che qualcosa di positivo nasca da tutto questo?

Bartov: Forse, in futuro, con un processo di verità e riconciliazione, come in Sudafrica o in Germania. Ma oggi Israele gode di una tale impunità che sta diventando uno Stato autoritario e di apartheid, una condizione che non può durare.

NYT: Negli USA cresce il divario generazionale: i giovani ebrei criticano Israele molto più dei loro genitori. Che significa?

Bartov: L’amore per Israele costruito in decenni si sta sgretolando. Questo danneggerà Israele, che diventerà sempre più violento e meno democratico, e potrà alimentare anche pregiudizi antisemiti contro gli ebrei nel mondo, perché Israele sarà visto come il loro rappresentante».

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