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31 luglio 2025
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L’editto RAI
di Raffaele Florio

Ma guarda un po’. Ogni volta che si pensa di aver toccato il fondo, arriva TeleMeloni con pala e piccone a scavare più giù. L’ultimo capolavoro di censura preventiva si chiama “via la firma a Sigfrido Ranucci”.

Non una svista, non un avvicendamento tecnico, ma una vendetta politica a orologeria. Il volto, il cuore e le coronarie di Report vengono esautorati dalla direzione effettiva del programma: via la firma, via le decisioni editoriali, via la gestione operativa. In pratica, gli hanno lasciato giusto il cartellino da timbrare.

La scusa? “Ordine interno”. Il vero motivo? Ranucci ha osato disturbare il manovratore. Ha fatto domande. Ha sollevato polvere sotto i tappeti dei potenti. Ha raccontato quello che nessun altro aveva il coraggio di dire, specie nella Rai ormai diventata una succursale del Ministero della Propaganda, con tanto di conduzione affidata agli ex portavoce della premier e alla banda bassotti del giornalismo yes-man.

È lo stesso copione di sempre, versione meloniana: si parte col dire che “non si vogliono bavagli”, che “la stampa è libera”, e poi si mettono le mani nei notiziari, si epurano le voci critiche, si commissaria Report. Ma guai a chiamarla censura. No, è solo “riorganizzazione”. Come no. Come le “dimissioni volontarie” di Fazio e Berlinguer, come la “sostituzione tecnica” di Annunziata, come la “nuova linea editoriale” che cancella chiunque non si metta sull’attenti di fronte al governo più allergico alla critica dal dopoguerra a oggi.

La verità è che Report dà fastidio. Non perché inventi le notizie, ma perché le cerca. Non perché faccia opposizione, ma perché fa giornalismo. Quello vero. Quello che chiede conto, che solleva domande, che non si accontenta delle veline di Palazzo Chigi. E in un’Italia dove ormai le conferenze stampa sembrano recite scolastiche, Ranucci è rimasto uno dei pochi che osa ancora alzare lo sguardo.

E allora via la firma. Come se bastasse togliere un nome per spegnere una voce. Come se bastasse un atto amministrativo per trasformare un programma scomodo in un varietà di intrattenimento. Ma non hanno capito nulla. Perché Report non è solo Ranucci, è un’idea. Un’idea di servizio pubblico, di giornalismo al servizio dei cittadini e non dei partiti.

E quando il potere ha paura delle domande, è proprio allora che bisogna farle più forti.

Così ora lo sappiamo: il vero crimine, in Italia, non è rubare. È raccontarlo.


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