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USA: sondaggio, supporto al genocidio crolla rovinosamente
di
Alessandro Ferretti
Ieri sono usciti i risultati di un sondaggio Gallup, condotto negli USA dal 7 al 21 luglio che include una domanda molto semplice: approvi o disapprovi le azioni militari israeliane a Gaza?
Le risposta è un'autentica pietra tombale sulla sostenibilità del genocidio e una boccata di ossigeno per chi crede nell'umanità. Solo il 32% del campione vede favorevolmente le "azioni militari israeliane"; inoltre, l'analisi per età, genere, etnia e reddito dei rispondenti mostra in modo inequivoco che sono le categorie subalterne della società USA ad esprimere il dissenso in modo più netto.
Genere: ad essere favorevoli sono il 41% dei maschi e solo il 24% delle femmine.
Etnia: il 40% dei bianchi è favorevole, mentre per i non-bianchi la percentuale scende al 18%
Età: favorevoli il 49% degli ultra-55enni, mentre tra i minori di 35 anni i favorevoli sono solo il 9%.
Reddito: quelli con un reddito superiore ai centomila dollari l'anno sono favorevoli per il 36%, mentre per quelli con meno di cinquantamila dollari annui i favorevoli sono solo il 28%.
Gli indicatori mostrano un identikit molto chiaro del supporter del genocidio: bianco, maschio, anziano e ricco, ovvero il classico detentore del privilegio.
Nonostante la propaganda asfissiante, il pubblico americano ha quindi recepito appieno il tratto fondante del genocidio, che è quello di una guerra di annientamento condotta dai forti contro i deboli. Particolarmente significativo il risultato relativo all'età: solo un giovane statunitense su undici approva la mattanza, il che fa pensare che il ricambio generazionale potrebbe essere cataclismatico per lo status quo.
Il quadro generale che emerge dal sondaggio è che la repulsione per il genocidio sta concretizzando e dando forma a una latente e pre-esistente linea di frattura tra chi detiene il potere e chi lo subisce.
Non solo: dal momento che chi detiene il potere non ha la minima intenzione di fermare la pulizia etnica, questa linea di frattura è destinata ad approfondirsi delimitando così un terreno ideale per mettere in contatto intorno a una causa comune le diverse categorie di sfruttati finora profondamente divise.
Nulla di tutto questo ovviamente vale di per sé a interrompere il genocidio: ormai è chiaro da tempo che i genocidari sono davvero convinti della loro superiorità rispetto agli altri umani e di poter imporre il loro volere al mondo intero. Si sono bruciati i ponti alle spalle e andranno avanti ad ogni costo, contando sull'immensa forza militare e repressiva degli Stati da loro controllati e sulla loro capacità di corrompere o ricattare la servitù politica, giornalistica e intellettuale di cui necessitano.
Però la storia insegna che nessun impero può reggersi esclusivamente sulla forza, sul terrore e sulla propaganda, per quanto sia grande la sua capacità di imporle. In una società complessa, articolata e interconnessa come quella moderna, il tentativo di fascistizzare il mondo intero potrebbe portare a un tracollo del sistema di potere in modi imprevedibili e in tempi più brevi di quanto si possa immaginare.
Quello che è certo è che, oggi più che mai, la lotta per restituire libertà e giustizia al popolo palestinese è la madre di tutte le lotte sociali; è l'irrinunciabile crocevia in cui tutti gli umani sfruttati del mondo si possono riconoscere, conoscersi e imparare ad agire insieme contro i potenti che ci schiacciano rubandoci il presente e il futuro.
La lotta è già iniziata e date le premesse non ci sarà tregua: nessun altro esito è possibile che non sia la vittoria o la sconfitta. Impossibile chiamarsi fuori: chi cercherà di esimersi verrà arruolato a forza dai potenti contro i subalterni.
Ognuno di noi deve scegliere adesso, o subire le scelte altrui. Sappiate fare la scelta giusta, ovvero la scelta di lottare per l'umanità, contro l'incubo distopico di dominio assoluto che è il sogno e l'obiettivo dei folli assassini che detengono il potere.
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