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Fucilato dai fascisti a 16 anni
di
Rinaldo Battaglia
"Vincerete perché avete la forza bruta, ma non convincerete. Per convincere dovete persuadere, e per persuadere dovreste avere qualcosa che vi manca: la ragione e il diritto nella vostra lotta".
Con queste parole Miguel de Unamuno, il 12 ottobre 1936, giorno dedicato alla "celebrazione della razza", abbandonava la carica di rettore dell'università di Salamanca. Era tornato al suo posto dopo un periodo di esilio e di confino a Fuerteventura, cacciato dalla sua Spagna per essersi opposto al regime militare di Primo de Rivera, che con la dittatura governò dal 15 settembre 1923 al 28 gennaio 1930. Ora un altro regime si affacciava alla vita pubblica spagnola e i fascisti di Francisco Franco si preparavano a diventare stato, seguendo le orme di quanto eseguito ed insegnato da Mussolini in Italia.
Nonostante avesse visto inizialmente di buon occhio Franco, Miguel de Unamuno si opporrà con tutte le sue forze al franchismo, simbolo a suo dire delle ‘barbarie, della violenza e del disprezzo per la cultura’. Non era comunista, anzi. Non vedeva differenza tra un regime totalitario comunista e un regime fascista: per Miguel de Unamuno contavano solo il rispetto per la dignità umana e la salvaguardia della cultura, considerata bene essenziale. Questo discorso costò inevitabilmente la cacciata dall'Università e di fatto un nuovo confino, questa volta nella sua casa a Salamanca, da dove non gli fu permesso più di uscire. E così sarà fino alla sua morte, poco dopo, il 31 dicembre 1936.
Miguel de Unamuno in quella due righe di discorso seppe sintetizzare la differenza netta tra fascismo ed antifascismo. Non si possono confondere o mischiare.
Quando sento persone che, in questo tempo, si definiscono ‘non-antifascisti’, perché dire di esser fascisti non è consentito dalla legge italiana (Costit. It., XII disposizione transitoria finale «È vietata la riorganizzazione del disciolto partito fascista» - Legge 645/1952
Sanziona «chiunque fa propaganda per... il fascismo» e «chiunque pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo».) mi vengono a mente molti esempi di antifascismo.
Anche da parte di ragazzi o giovani che durante la Resistenza hanno combattuto contro il fascismo e gli uomini del Duce. E non ricordo casi analoghi dalla parte opposta. Io almeno, io non ne conosco di così valore e dignità.
Oggi è il 27 luglio e non vado a pescare nel 1943. Sarebbe facile dire che, quel giorno, l’Italia manifestava comportamenti antifascisti dopo la caduta del Duce. Vi porto invece all’anno dopo, in piena Resistenza, e vi racconto la vita di un ragazzo che, quando si sacrificò per la mia e vostra libertà non aveva ancora 17 anni. Era di Collegno, vicino a Torino, classe 1927 (nato il 24 agosto) e venne fucilato dai fascisti italiani – non nazisti tedeschi sia chiaro – a Moncalieri il 27 luglio 1944. 80 anni come oggi. Fucilato in quanto antifascista e partigiano. Si chiamava Renzo Cattaneo.
Pensate: a 16 anni Renzo seguì il fratello, tra i primi partigiani in Val Susa, già il 13 settembre 1943 – 5 giorni dopo l’armistizio - e combatté nelle Valli di Lanzo e di Rubiana in modo così determinato da divenire capo squadra di una formazione della 45ª Brigata. Inoltre, nel maggio del 1944 divenne comandante di distaccamento della 48ª "Garibaldi, entrando poi a pieno titolo nelle formazioni Matteotti.
Per tutti era conosciuto come ‘Falco’. A 16 anni.
Venne anche arrestato, in quel periodo, dalla polizia fascista, quando, vista la sua giovanissima età che poteva trarre in inganno chiunque, si offrì per una missione rischiosa nella sua Torino. Venne tradito, probabilmente dai soliti delatori, ma sfruttando - proprio il fattore età - venne poi rilasciato, riprendendo la strada della montagna. Qui ora, sempre dentro le formazioni "Giacomo Matteotti", combatté nella Brigata "Tre confini", in molte azioni anche di sabotaggio. Come avvenne a Mompellato, sul Colle del Lys e a Canale d'Alba. Ritornato ancora a Torino, per incontrare altri esponenti partigiani, a fine luglio venne nuovamente arrestato, rinchiuso e torturato per farlo parlare nelle carceri fasciste di Via Asti. E qui, non volendo denunciare i suoi compagni partigiani, condannato a morte e subito trasportato dai fascisti di Torino a Moncalieri e qui fucilato.
Dai nostri fascisti, non dai cattivi nazisti tedeschi.
A guerra finita, il 10 luglio 1947 Falco venne insignito di medaglia d'oro al V.M. alla memoria.
"Sedicenne, rispose intrepido al richiamo della Patria per la liberazione del popolo oppresso. Partigiano valoroso, primo tra i primi, partecipò a numerose azioni di guerriglia infondendo a tutti coraggio, emergendo per ardimento e guadagnandosi la stima dei compagni che lo vollero comandante di squadra. Arrestato, per delazione, dalla polizia nazifascista e sottoposto a snervanti interrogatori durante i quali venne più volte percosso, mantenne sempre fiero il silenzio, salvando così la vita a numerosi compagni. Rilasciato per la sua giovane età, risalì le valli tanto amate riprendendo con maggiore ardore la dura lotta e rifulgendo per indomito coraggio. Inviato a Torino per una importante missione veniva nuovamente arrestato con il suo comandante ed un compagno. Per salvare i fratelli di fede, si addossava la responsabilità di azioni punitive contro spie fasciste, accettando serenamente la condanna a morte. Cadeva sotto il piombo nazifascista, fiero di essere partigiano della libertà. Fulgido esempio di cosciente valore, dì altruismo e di piena dedizione alla causa della libertà".
Da notare: si parla di ‘spie fasciste’ ma di ‘piombo nazifascista’. Era difficile anche allora nel 1947 dire la vera verità, per esteso senza omissioni e menomazioni. Venne ucciso dai fascisti italiani di Torino. Era difficile dirlo, allora come ora. Chiedetelo al Presidente del Consiglio quando, a Roma il 13 dicembre2022, disse in una cerimonia istituzionale che le leggi razziali erano state ‘infami’ omettendo di completare – volutamente - che erano state firmate, promulgate, decise da un certo Benito Mussolini e propagandate dal suo megafono ufficiale, Giorgio Almirante, già il 20 settembre 1938 su ’La difesa della Razza’, organo ufficiale fascista, razzista e antisemita.
Falco non aveva ancora 17 anni il 27 luglio 1944.
‘La forza bruta’ quel giorno vinse, ma non convinse. Anzi, nell’estate 1944 la Resistenza partigiana in Piemonte si sviluppò talmente tanto da richiedere, agli uomini di Salò, l’arrivo di molti camerati illustri, talvolta per ordine espresso del generale Rodolfo Graziani, numero 2 dopo Mussolini a Salò. Peraltro, sarà proprio in Piemonte, in Val d’Ossola che già nel novembre 1944, opererà nelle bande fasciste più violente e criminali (anche nella lotta contro gli ebrei che scappavano - pagando - verso la Svizzera) e partecipando attivamente a molte spedizioni “nere”, proprio Giorgio Almirante. Sempre il megafono del Duce, sempre quello a cui si ricorreva, orgogliosi, nell’estate 2022 nei poster elettorali: ‘Da Giorgio a Giorgia’.
Sì, aveva ragione Miguel de Unamuno: " Per convincere dovete persuadere e per persuadere dovreste avere qualcosa che vi manca: la ragione e il diritto nella vostra lotta".
Che qualcuno si tenga pure in alto Giorgio Almirante, il mausoleo di Rodolfo Graziani, i discorsi del premier ancora presenti nel web in cui diceva che Mussolini è stato il più grande statista italiano del secolo scorso, le prediche di un generale ora passato alla politica. Io preferisco ricordare un ragazzo di 16 anni, fucilato dai fascisti, chiamato Falco.
"Vincerete perché avete la forza bruta, ma non convincerete. Per convincere dovete persuadere, e per persuadere dovreste avere qualcosa che vi manca: la ragione e il diritto nella vostra lotta".
27 luglio 2025 – 81 anni dopo -
Liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Seconda Parte” - Amazon – 2024
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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