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Perché non è il tempo dello Stato palestinese?
di
Elisa Fontana
“Non è ancora tempo dello Stato palestinese”, questa la risposta di Meloni a chi le chiedeva se l’Italia avrebbe seguito l’esempio della Francia, riconoscendo lo Stato di Palestina. E ancora: “ Io credo che il riconoscimento dello Stato di Palestina, senza che ci sia uno Stato della Palestina, possa addirittura essere controproducente per l’obiettivo”.
Ora bisognerebbe che qualcuno le rivelasse, non troppo bruscamente mi raccomando, che dal punto di vista giuridico la Palestina è considerata uno Stato già dal 2015 quando è entrata nell’ONU come membro osservatore. E magari qualcun altro le ricordi, sempre con il massimo di garbo e cautela, che oggi 148 Paesi riconoscono lo Stato palestinese.
Ma capisco che, come ordina l’amico Donald, tutti questi organismi internazionali devono essere buttati nell’indifferenziata e la nostra statista obbedisce senza remore a questo tentativo di scardinamento dell’ordine internazionale per un Far West dove il più forte ha automaticamente ragione.
Ma questo slalom sul mancato riconoscimento della Palestina con queste fumisterie addotte non solo da Meloni, ma anche da Tajani lascia molto perplessi e pone delle domande scomode. Ad esempio, non sarà che molto più banalmente se si riconosce lo Stato di Palestina avremmo moltissime difficoltà a vendere armi ad Israele?
Certo, so benissimo che la presidenterrima ha solennemente dichiarato in Parlamento che dopo il 7 ottobre non vendiamo più armi ad Israele, ma subito dopo il ministro Crosetto è dovuto intervenire dicendo che sì continuavamo a vendere armi ad Israele, ma solo per onorare contratti già firmati e guardando contratto su contratto che fosse tutto di uso civile, come se il caro ministro mai avesse sentito parlare di software dual use. Perché la guerra non si fa più con i moschetti del ’98, ma essendo diventata ipertecnologica si basa innanzitutto su software che possono avere il doppio uso civile e militare.
Ma ove ciò non bastasse, alcuni dati dell’Agenzia delle dogane ci rivelano che nei mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024 l’Italia ha esportato in Israele armi e munizioni da guerra per 2 milioni di euro, altro che uso civile.
E ancora è di questi giorni la convocazione da parte dello Stato maggiore della Difesa di un incontro con rappresentanti militari israeliani per un piano di cooperazione bilaterale con lo scopo di stringere accordi commerciali militari con Israele, in barba a tutti i proclami effettuati.
La convocazione è stata fatta con una lettera inviata all’AIAD, l’organismo di Confindustria che raggruppa le aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza. L’incontro è poi avvenuto il 23 luglio e, nonostante le smentite tardive del ministro Crosetto, non si capisce davvero a cos’altro sia servito l’incontro nella cui lettera di convocazione alle aziende legate alla Difesa era allegata una scheda tecnica da compilare per i prodotti che si intendeva promuovere.
Insomma, chi compila la scheda lo sta facendo nell’ottica di fornire equipaggiamenti e servizi, tramite il nostro ministero, ad un paese il cui premier è ricercato dalla Corte Penale dell’Aja per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. E non dimentichiamo la causa intentata dal Sudafrica contro Israele per violazione della Convenzione sul genocidio presso la Corte internazionale di Giustizia, che potrebbe renderci complici non solo della mancata prevenzione di atti genocidiari, ma anche della loro facilitazione.
Certo, entrambe le Corti fanno parte di quegli organismi internazionali dichiarati paccottiglia dall’amico Donald, lo sceriffo di Abilene, e noi, come si sa, lo seguiamo entusiasti. Crosetto ha naturalmente smentito piccato la natura commerciale dell’incontro, ma ovviamente non ha ritenuto di dare altre spiegazioni, come si confà nelle migliori democrazie.
E a noi rimane insoddisfatta quella domanda che gira impertinente nella nostra testa: perché non è il tempo dello Stato palestinese? Ma si sa, rispondere alle domande è una cosa che usava nelle democrazie, noi ad Abilene usiamo altri metodi e se non vi piacciono, peggio per voi.
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