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Mafia: la settima vittima di via D'Amelio
di
Pino Maniaci
Era passata una settimana dalla strage di via D'Amelio e a Roma c'era una ragazza che non riusciva più a reggere il dolore. Si chiamava Rita Atria ed era una testimone di giustizia.
Nata e cresciuta in una famiglia mafiosa di Partanna, dovette fare i conti prima con l'omicidio del padre e poi con quello del fratello, al quale era molto legata.
A soli diciassette anni, decise di rompere col passato e di seguire le orme di sua cognata, Piera Aiello, che aveva iniziato a collaborare con la polizia denunciando gli assassini di suo marito.
Rita conosceva perfettamente gli affari e le dinamiche mafiose della sua città, anche se non ne aveva mai preso parte e nel 1991 cominciò a confidare tutto ciò che sapeva al giudice Paolo Borsellino.
Grazie anche alle sue testimonianze, vennero arrestati numerosi mafiosi di Partanna e dintorni. Ma il 19 luglio 1992, la vita della "picciridda" del dottor Borsellino cambiò per sempre: Rita aveva perso il suo ultimo sostegno, quell'uomo che per lei non era soltanto un magistrato ma un padre, uno zio, la sua nuova famiglia.
Un dolore più grande di lei, impossibile da sopportare: il 26 luglio dello stesso anno, decise di togliersi la vita nel palazzo in cui viveva in segreto a Roma, isolata da tutti, ripudiata dalla madre che distrusse la sua lapide a martellate.
Leggete le sue parole: «Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l'unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta».
Non dimentichiamo. La memoria non deve morire.
 
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