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25 luglio 2025
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Si fa presto a dire "caduta del fascismo"
di Rinaldo Battaglia

IL FASCISMO NON AVEVA L'ARIA DI FINIRE PRESTO. Il 25 luglio 1943 dopo che il Duce era stato sconfitto dal suo 'cerchio magico' nel Gran Consiglio del Fascismo, Vittorio Emanuele III affidò il governo a un militare di lunga esperienza, di sua fiducia (lo aveva salvato nel 1917 dopo Caporetto, dove la catastrofe partì proprio dalla falla nel suo XXVII Corpo d'armata) ma anche ‘accettabile’ dagli Alleati o almeno a loro solo 'presentabile'.

Il tutto per arrivare ad una resa in tempi brevi e così portarci fuori dal conflitto. Badoglio era stato fascista con Mussolini, criminale di guerra nella guerra di Etiopia anche per l’uso vietato dell’iprite, ma alla fine era, per il Re, quello più in grado di salvare il salvabile e con questo - perché no - anche il suo sedere. Ma usando sistemi fascisti, come fatto fino a prima, e circondato da uomini del regime fascista, come prima.

La solita legge del gattopardo di Tomasi di Lampedusa: si cambia tutto affinché non si cambi mai nulla.

Appena assunto il controllo del Governo, forse ancora prima di affrettarsi a dichiarare che «la guerra continuava al fianco dell’alleato tedesco», Badoglio si impegnò a bloccare - anche e soprattutto - con la forza le scontate ed inevitabili manifestazioni di giubilo per la destituzione del Duce, partite spontaneamente in tutto il paese.

E qui intervenne prontamente il grande capo della polizia, il grande e convinto fascista, Carmine Senise, già nominato da Mussolini a tale ruolo nel 22 novembre 1940 e lì confermato da Badoglio dopo il 25 luglio. Senise intervenne immediatamente sulle varie realtà locali per il mantenimento dell’ordine pubblico, coperto e protetto in questo anche dal Re, timoroso che le proteste, e non solo quelle arrivassero, dopo il Duce, anche alla sua figura, colpevolmente immischiata e collusa in quei 20 anni di regime.

Già alla sera - alle 20,30 per la precisione - del 25 luglio Senise telegrafò ai prefetti chiedendo la precisa «applicazione piani OP» (ordine pubblico: militarizzazione del territorio nazionale). Due giorni dopo, nel primo mattino del 27 precisò ancora meglio: «occorre far rispettare tutti costi ordinanze autorità militari … anche se si debba ricorrere uso armi». E siccome non voleva essere frainteso, ancora il 3 agosto riprese l’argomento: «Si fa presente particolare pericolosità della propaganda comunista che est stata iniziata verso militari perché facciano causa comune con masse popolari et non sparino su folle dimostranti».

La colpa non era di un regime che aveva oppresso l’Italia e di cui il Re, Badoglio e Senise non erano stati parte disinteressata e non attiva, ma – repetita iuvant - della propaganda comunista ‘che vorrebbe che i militari NON sparassero sui dimostranti’. Se non era ancora fascismo cos’era?

Si fa presto a dire che col 25 luglio era caduto.

Il gen. Mario Roatta, altro uomo forte del Duce e criminale di guerra in Jugoslavia, ora al ministero della Guerra, non volle restare fuori dal coro. La sua «circolare Roatta» del 26 luglio 1943 ordinava di sparare sulla folla se protestava, partendo dal ragionamento che «poco sangue versato inizialmente risparmierà fiumi di sangue in seguito» e che «qualunque pietà et qualunque riguardo nella repressione sarebbe delitto». In altre parole, di fronte alle manifestazioni popolari «i reparti devono assumere et mantenere grinta dura», basta con «i sistemi antidiluviani, quali i cordoni, gli squilli, le intimazioni et la persuasione», ma «si proceda in formazione di combattimento et si apra fuoco a distanza, anche con mortai et artiglieria senza preavviso di sorta, come se si procedesse contro truppe nemiche».

Nello stesso tempo ed in sinergia con Roatta, il Capo di Stato Maggiore, Vittorio Ambrosio – altro uomo del Duce e rimasto ora al suo posto - scelse subito di potenziare le forze dell’ordine nelle zone dove, sin dalla sera del 25 luglio, era apparso più difficile ‘contenere l’entusiasmo popolare’ e le manifestazioni di massa contro il potere centrale, dopo oltre 20 anni che queste erano state vietate.

E così si arrivo allo scontro già dal pomeriggio del 26 luglio nelle principali città del nord: Torino, Milano, Genova e Bologna. Ma non solo. Il massimo delle proteste, fuori controllo per la polizia, avvenne il giorno 28 luglio con le stragi di Bari (17 morti e 36 feriti) e di Reggio Emilia (9 morti e 30 feriti).

In estrema sintesi, nei primi 3 giorni successivi al 25 luglio, ‘l’ordine pubblico’ fu garantito con ben 65 morti e 269 feriti e oltre 1.200 arrestati. I Tribunali militari furono chiamati a non fermarsi, come prima del 25 luglio. A Torino, la città dei Savoia, i processati furono 437 e ben 398 (91%) furono condannati a oltre 429 anni di carcere.

Se non era ancora fascismo cos’era? Si fa presto a dire che col 25 luglio era battuto.

Se qualcuno avesse dei dubbi un’ulteriore prova la si ebbe, 20 giorni dopo, quando il Re – il Re, non altri - il 16 agosto accusò Badoglio di «eccessi antifascisti». Un gioco di parole per ordinare al governo di non concedere spazi alle opposizioni e ai partiti antifascisti – peraltro in regime di semiclandestinità e coi loro esponenti principali sempre a rischio di arresto – affinché le cose de facto non cambiassero.

Come cambiarono poco per la ‘liberazione dei detenuti politici’ imprigionati sotto il regime del Duce che, sebbene annunciata in pompa magna da Badoglio il 27 e il 29 luglio, nei fatti fu quasi nulla ed inefficace. Erano infatti esclusi tutti coloro che avevano commesso ‘delitti contro lo Stato’ e non solo gli anarchici e i comunisti. Ossia quasi tutti. Persino la liberazione degli ebrei veniva limitata a coloro che non avessero commesso azioni di «particolare gravità» senza bene specificare quali. In altre parole, anche qui, solo ‘chiacchiere e distintivo’. E dalle leggi razziali del ’38 ogni protesta minimale degli ebrei poteva portare all’arresto. Leggi razziali che saranno abrogate solo il 20 gennaio 1944 (nel Regno del Sud) e nel resto del Paese solo dopo la liberazione del 25 Aprile 1945.

Solo verso fine agosto ’43, Badoglio fu costretto a mollare qualcosa e a piccole rate, in tema di liberazione dei detenuti politici. È probabile che fosse solo una mossa per ‘presentarsi’ con volto nuovo, un ‘coup de théàtre’ per meglio accreditarsi verso Churchill ed Eisenhower, in vista della definizione della resa di Cassibile, poi vendutaci come l’armistizio dell’8 settembre.

Badoglio non attivò nessuna un’amnistia (come sarebbe stato probabilmente opportuno), ma «garantì la liberazione dietro domanda». A partire da fine agosto cominciarono così ad uscire dal carcere – a suo dire - i politici «più pericolosi», anche se parecchie migliaia di detenuti politici (soprattutto quelli nord Italia) restarono ancora incarcerati e molti di loro, dopo l’8 settembre, vennero presi in custodia dai nazisti e gran parte spediti, in Germania, nei lager. Dopo il 25 luglio l’opposizione al fascismo però prese di certo consistenza e vitalità. Nacquero i primi comitati politici, talvolta a sostegno delle manifestazioni spontanee di piazza (come nel caso del Comitato modenese), talvolta assumendo posizioni di ‘mediazione’ invitando gli scioperanti alla calma per non «provocare» le reazioni dell’esercito e delle forze dell’ordine, forse quello che il nuovo governo – molto simile al precedente - cercava, talvolta con le prime divisioni ideologiche al suo interno (come nel caso del Comitato romano).

In definitiva aveva ragione Natalia Ginzburg, a dire nel suo ‘Lessico famigliare’ che ‘il fascismo non aveva l'aria di finire presto. Anzi aveva l'aria di non finire mai”, ma nel periodo di interregno tra il 25 luglio e l’8 settembre, in quei 45 giorni di attesa, i veri nuovi attori protagonisti nel film della Storia d’Italia furono le masse popolari. Proprio le masse del popolo che diedero luogo a manifestazioni, quasi tutte «spontanee», esprimendo la loro soddisfazione, quasi naturale, per l’arresto di Mussolini e parallelamente capendo che, se volevano liberarsi per davvero dalla dittatura dovevano intervenire in prima persona.

L’Italia ‘popolare’ in altre parole prese coscienza del proprio ruolo. Anche a costo di 65 morti, 269 feriti e 1.200 arrestati. Si fa presto a dire che col 25 luglio il Duce ed il fascismo erano caduti, ma la Resistenza che partirà ufficialmente dopo l’8 settembre, in realtà era già nata 45 giorni prima.

Un anticipo di Resistenza, insomma. O meglio, la Resistenza in anticipo. Per questo, anche dopo oltre 80 anni, del 25 luglio i 'non fascisti' non amano parlarne. Basta solo guardare le tv di Stato e i giornali di parte in questi giorni. Per loro è solo una data anonima, un foglio sul calendario da buttare via in fretta. Perché anche oggi per molti festeggiare il risveglio delle masse popolari dopo quel 25 luglio 1943 fa male. Ma è comprensibile, già da allora ‘il fascismo non aveva l'aria di finire presto. Anzi aveva l'aria di non finire mai”.

25 luglio 2025 – 82 anni dopo

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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