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Sole che nasce, sole che muore
di
Rinaldo Battaglia *
Il 21 luglio 1941 in Francia, a Vichy nel Departement de l'Allier, nasceva un bel bambino. Si chiamava Albert (Albert Cogan per la precisione).
Di lui ci sono poche foto, una soprattutto sopra un cavallo di legno con cui amava giocare. Poi il tramonto in fretta. Proprio, in questi giorni del luglio 1943 venne rastrellato con la famiglia, arrestato e deportato prima a Drancy e pochi mesi dopo in un luogo dall’accento strano, il cui nome non aveva mai sentito citare prima: Auschwitz. Quel sole morirà il 10 dicembre 1943.
Si racconta che la mamma – sapendo bene cosa sarebbe successo dopo la selezione all’arrivo nel lager – abbia cercato di distrarlo, dal freddo – in Polonia a dicembre c’è il gelo e non solo nel cuore di chi gestiva quel luogo – e da quel clima di terrore misto a confusione. Così le cantò una filastrocca d’amore, come quelle che prima gli cantava alla sera, affinché prendesse sonno.
Si racconta che in quel momento un altro uomo destinato alla camera a gas, abbia aiutato la giovane madre, colpito da quel bambino che si aggrappava al corpo di chi lo aveva messo al mondo solo due anni prima. Impaurito, spaventato, ben diverso da quando venne fotografato sul cavallo di legno.
Si racconta che ancora oggi chi visita Auschwitz, e vede quel nome e quell’età scritti su un muro, fatichi a trattenere le lacrime e talvolta improvvisamente non riesca più nemmeno a respirare. Perché Albert aveva solo due anni ma aveva già capito come girava il nostro mondo. Quel sole era durato così poco, senza averne colpa alcuna.
Il 21 luglio di questo 2025, invece, all’ospedale al-Shifa di Gaza City moriva un altro sole. Si chiamava Razan (Razan Abu Zaher per la precisione). Aveva solo 4 anni e di lei ci sono solo – che io sappia – due foto da viva e una dopo quel 21 luglio, tra le braccia dl padre Maher, chiusa in un sacco di carta bianco.
Si racconta che, in quel giorno, siano morti - oltre a Razan - altri 20 bambini, a causa della fame, solo nei tre ospedali principali di quella ‘striscia di terra’. A dirlo in una conferenza stampa è stato Mohammed Abu Salmiya, direttore dell'ospedale al-Shifa di Gaza City, il più grande ospedale del territorio palestinese prima della guerra.
21 bambini morti per malnutrizione, tra proprio l’ospedale al-Shifa di Gaza City, l'ospedale dei Martiri di al-Aqsa a Deir al-Bal1 e l'ospedale Nasser di Khan Younis, nella Striscia meridionale.
Qualche giornalista ha chiesto notizie al padre di Razan, Maher Abu Zaher, è la sua risposta è stata di desolante disperazione: “Facevo il ristoratore fino a due anni fa, poi ho visto mia figlia morire di fame a 4 anni”. E, piangendo, ha continuato: “Qualcuno ci ha dato dei barattoli di latte ma non era abbastanza. Gli ultimi tre mesi sono stati un inferno”.
Bambini che muoiono di fame: secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, la maggior parte di questi decessi si è verificata da quando dal marzo 2025, “le autorità israeliane hanno impedito ai convogli di viveri di entrare a Gaza. Il divieto è stato parzialmente revocato alla fine di maggio, ma le agenzie umanitarie affermano che la quantità che raggiunge il territorio è troppo esigua per sostenere la popolazione”.
Razan è uno dei tanti casi. Forse più noto, perché già il 23 giugno scorso la CNN ne aveva parlato. Così raccontava: “Sua madre, Tahrir Abu Daher, all'epoca aveva dichiarato di non avere soldi per comprare il latte, che comunque era raramente disponibile. La sua salute era ottima prima della guerra, ma dopo la guerra le sue condizioni hanno iniziato a peggiorare a causa della malnutrizione. Non c'è nulla che possa rafforzarla.”
Era solo un mese prima, un mese dopo quel sole si spegneva.
Credo che vedere la propria figlia di 4 anni morire di fame sia la peggior condanna che un genitore possa ricevere su questa vita.
«Come fai a spaventare un uomo quando quella che lo tormenta non è fame nella sua pancia, ma fame nella pancia dei suoi figli? Non puoi spaventarlo: conosce una paura peggiore di tutte le altre». Le parole di John Steinbeck in 'Furore', quando descriveva la grande fame degli anni della tremenda recessione americana degli inizi anni ’30, non necessitano commenti. E risultano ora più che mai opportune.
Come fai a spaventare un uomo, diceva. E per la donna, con i suoi figli, le sue creature, al suo fianco che stanno morendo di fame, è ancora peggio. E non solo in quell’America. Perché anche da noi non fu diverso. Basta ricordare cosa successe a Roma il 7 aprile ‘44, due settimane dopo le Fosse Ardeatine, con l’assalto al forno Tesei al “Ponte di ferro”, nel quartiere Ostiense.
21 luglio 1941 un sole che nasce, 21 luglio 2025 un sole che muore. Tra le due date 84 anni di vita, 84 anni di progresso si dice. Ma dove? In quale settore?
Ieri sera ho sentito dire il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani a "4 di Sera News" su Retequattro: "Abbiamo dato messaggi chiari a Israele da amici di Israele. Ma attenzione: interrompere qualsiasi relazione con Israele vuol poi dire non poter aiutare la popolazione civile". E quindi si resta così inermi sperando di “convincere Netanyahu a concludere questa stagione di guerra e arrivare a un cessate il fuoco".
Magari se si decidesse di bloccargli le forniture di armi (tanto, col 5% del Pil alla difesa, spazio per altri clienti non mancherà di sicuro). Magari applicando embarghi visto che, quando vogliamo, li mettiamo in pratica anche a costo di pagarne dazio. Probabilmente saremmo più credibili. O, almeno, solo più umani.
Lo diceva bene due secoli fa Lev Tolstoj “se senti dolore sei vivo, se senti il dolore degli altri sei umano”.
Quand’ero ragazzino, nella lontana estate 1972, pensavo solo a giocare col pallone, leggere un bel libro o ascoltare qualche buon disco alla radio. Ora non più.
21 luglio 1941 il sole che nasce, 21 luglio 2025 il sole che muore. Tra le due date: infinito dolore e zero umanità.
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
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