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Handala: perché questo nome per la nave della Freedom Flotilla
di
Antonella Salamone
Naji al-Ali nasce nel 1937 a Asciagiara, un piccolo villaggio dell’alta Galilea, fra Nazareth e il lago di Tiberiade.
Fino agli anni trenta nel villaggio di Asciagara, come in tutti i villaggi palestinesi, al di là delle loro credenze religiose, musulmani, cristiani, ebrei, palestinesi vivevano in armonia.
Gli insediamenti di ebrei venuti da tutto il mondo mutarono il corso delle cose.
I coloni sionisti si presero le terre dei palestinesi e gli attacchi militari fecero il resto.
Dopo la nascita dello Stato di Israele (1948) il villaggio di Asciagara fu raso al suolo e l’ONU invece di fermare le stragi allestì i campi profughi.
La famiglia di Naji Al-Ali trovò rifugio nel campo di Eni Al-Hilwe, nei pressi di Sidone, nel sud del Libano.
Nel corso di una intervista Naji descrisse cosi la vita nel campo:
"Li, la vita era al limite della dignità umana, vivevamo in sei in un'unica tenda la metà della quale era stata trasformata in una sorta di spaccio dove mio padre vendeva le sigarette, gli ortaggi, ed altri oggetti di poco valore" (dal quotidiano "Assafir" 11/6/'83).
Il personaggio centrale dell’opera di Naji Al-Ali e' Handala, un bambino un po’ spelacchiato, con i piedi scalzi, i vestiti rattoppati, disegnato di spalle con il volto verso il dolore del popolo palestinese.
Naji lo disegna con la testa che ricorda un piccolo sole che guarda verso il futuro.
Lo sguardo è rivolto ai villaggi massacrati dalle bombe, ai martiri palestinesi, al neocolonialismo delle multinazionali del petrolio.
Nessuno vede le lacrime del bambino strappato al suo villaggio, alla sua famiglia, alla gioia dell’infanzia; si rifiuta di crescere nei campi profughi e mostrerà il suo volto solo quando la situazione del popolo palestinese sarà rovesciata, potrà tornare al villaggio, riprendere a crescere e diventare un uomo libero.
C’è infatti una vignetta dove si vede Handala che con una corda tira un fucile con la baionetta conficcata nella terra come fosse un aratro, il padre tiene stretto il manico e la madre semina cuori in un notte. Un capolavoro.
Handala è un atto di accusa contro l’arroganza del potere israeliano e del silenzio complice dei paesi ricchi, la lotta per la libertà, l’identità, la memoria del popolo palestinese; ci guarda attraverso lo sdegno e il coraggio di un bambino che diventa testimone di crimini commessi contro l’umanità.
Handala disvela l’ingiustizia, la menzogna della politica, la forza dell’uomo in rivolta, la resistenza che riesce a gridare contro la negazione.
La grazia sparsa nei fumetti di Naji non è consolazione, è luce. È la realtà calpestata dei palestinesi trasportata in migliaia di strisce (oltre quarantamila).
La sua opera intera è un atto d’amore e di libertà mai cantato prima con questa forza e questa bellezza.
Naji non disegnava solo per mestiere, ma perché ci credeva. Credeva nella giustezza della causa. La terra era quasi sempre presente nei suoi disegni, perché aveva un grandissimo richiamo su di lui; richiamava le sue radici, la sua storia.
Disegnare per lui non era solo una passione, ma soprattutto un mezzo per esprimere i suoi pensieri, per gridare la sua rabbia contro chi aveva usurpato la sua terra, contro l’occupazione israeliana.
La sua sfida era implacabile.
«Quando non trovo più un giornale che mi ospita, posso continuare a disegnare sulla spiaggia, sugli alberi o sul vento».
Di lui, il grande poeta Mahmud Darwish ha scritto: «Solo lui riesce a scegliere per poi distruggere e far esplodere. Nessuno assomiglia a lui… però lui assomiglia a milioni di cuori perché è semplice; è un Uomo straordinario, di grande umanità».
Nel 1982, quando l’esercito israeliano invase il Libano, Naji Al-Ali raggiunse le prime file di resistenza; non impugnò mai le armi ma portò la sua solidarietà a quanti combattevano contro l’aggressore. Attraverso le sue vignette incitava i combattenti a non deporre le armi, a non farsi illudere dalle promesse degli americani.
Con la vittoria degli israeliani fu costretto a passare sette mesi in clandestinità nei sotterranei di Beirut.
Riesce a tornare in Kuwait.
Qui scrive: “Il fulcro di tutto è la democrazia. Le nostre frecce vanno lanciate contro le catene, le maschere, le carceri e le leggi truffa. la repressione non ha mai regalato la democrazia, la repressione non cede spontaneamente. La repressione non si suicida, va uccisa. Per poterla uccidere, bisogna lottare. Nessuno ha la soluzione pronta. La soluzione nasce dal conflitto, per questo il conflitto deve essere mantenuto vivo” (Al-Qabas, 12/5/l984).
Il 22 luglio del 1987 a Ives Street di Knightsbridge a Londra, Naji al-Ali fu raggiunto da un colpo di pistola al collo vicino alla sede del quotidiano kuwaitiano al-Qabas per il quale lavorava.
Morì dopo cinque settimane, il 29 Agosto senza mai riprendere conoscenza.
Nessuno è mai stato incriminato.
Naji è morto. Rimane Handala.
Chissà forse se impareremo a guardarlo con gli occhi di un palestinese un giorno si girerà verso di noi.
"Possono assassinare il mio corpo, ma le mie idee vivranno in Handala.
Il suo viso sarà rivelato solo quando i rifugiati palestinesi torneranno in patria”. (Naji al-Ali)
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