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24 luglio 2025
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Il trattato di rinuncia alla guerra
di Rinaldo Battaglia

Esiste sul calendario della Storia una data che pochi – soprattutto dopo il 24 febbraio 2022 – amano ricordare. Anzi, a dir il vero, in Italia nessuno quasi la conosce. E probabilmente perché non fa onore anche al nostro recente passato, a quel tempo pallido di manganello, di olio di ricino, di milioni di italiani mandati in guerre perse ancora prima di iniziarle, tra l’Africa, la Spagna, l’Europa intera. E’ il 24 luglio.

Il 24 luglio 1929 - ben 96 anni fa - entrò in vigore in tutti i paesi firmatari un importantissimo trattato, passato alla Storia come il ‘Patto Briand-Kellog’, sottoscritto a Parigi il 27 agosto 1928 dalle principali potenze mondiali. Anzi la mano chi – a parte gli addetti ai lavori – ne sa qualcosa.

Eppure fu una pietra angolare del ‘recupero’ dell’uomo dopo la tragedia della Grande Guerra.

In quel ‘Trattato multilaterale’ si dichiarava la rinuncia alla guerra quale mezzo (ed unico talvolta strumento) di politica internazionale per risolvere le questioni, le varie problematiche, che sarebbero inevitabilmente sorte tra i vari Stati aderenti.

L’Europa, uscita distrutta nel corpo e nell’anima dalle micidiali battaglie della Somme, del Carso e del fronte orientale, esattamente dopo 10 anni dal 11 novembre 1918, ultimo giorno di guerra, metteva per iscritto un’alternativa: non più sangue e assalti di uomini mandati al macello, ma tavoli in cui discutere, caso mai litigare, ma sempre lasciando la violenza e la morte, fuori dalla porta di quella stanza. Confronto non scontro, discussioni tra uomini non invasioni tra soldati.

A Parigi, il 27 agosto di 96 anni fa, venne deciso persino che l’attuazione del trattato partisse l’anno successivo (proprio il 24 luglio 1929) per dare tutto il tempo, ad ogni Stato aderente, di prepararsi e preparare ogni proprio cittadino alla grande novità. Doveva essere un percorso umano di crescita generale: basta guerra, abbiamo tutti sofferto troppo e chi è morto almeno sa che ha sacrificato la propria vita – la propria unica vita – affinché altre vite non facessero la stessa immeritata fine. Quella dei loro figli, magari.

Era il 24 luglio 1929. Il nome del trattato riprende l’identità dei sue leader che riuscirono nell’impresa.

Aristide Briand era il ministro degli Esteri della Francia – paese vincitore sulla Marna, ma distrutto nel morale peggio che le colline di Verdun – Frank Kellogg il Segretario di Stato USA, il paese che da quella guerra sarebbe uscito come una potenza economica più che militare e che dava oramai una visione globale del mondo e non più terreno esclusivo di guerre prettamente europee.

Briand già dall’inizio del 1927 cercò di coinvolgere gli Stati Uniti. Inizialmente pensava ad un patto bilaterale, a due Stati, e soprattutto in funzione anti-tedesca. Chiunque capisse qualcosa di politica, sapeva benissimo che la pace di Versailles, del giugno 1919, era un piccolo castello di sabbia sulla spiaggia in un giorno di mare in burrasca. Chi aveva vinto non era soddisfatto ed era terrorizzato al solo pensiero di una nuova calamità (noi la chiamammo ‘vittoria mutilata’), chi aveva perso sognava vendette e rivincite. Era solo questione di tempo. Nulla di più.

In Francia ed Inghilterra – le vere democrazie europee allora – i vari candidati se volevano esser eletti a qualsiasi ruolo o incarico dovevano garantire la neutralità in caso di un’altra guerra. Chi era considerato guerrafondaio o solo legato al passato militare (vedasi Winston Churchill per la tragedia di Gallipoli) non aveva allora alcuna speranza.

Ma Kellogg, molto lungimirante, preferì più che un patto di reciproco aiuto e reciproca protezione che clonasse le esperienze fallimentari della Triplice Alleanza e Triplice Intesa, un vero e proprio accordo generale, aperto a tutti e vincolante per chi vi aderiva. Aperta a tutti, vincitori e vinti della guerra precedente, tutti con pari diritti e doveri.

Non era la Società delle Nazioni, nata a Versailles in quel giugno 1919, molto macchinosa, complessa e di fatto gestita solo e soltanto dai vincitori, handicap questi che la faranno fallire e che già solo dopo 8/9 anni dalla sua costituzione erano visibili anche ai ciechi. Il Patto Briand-Kellogg andava oltre e in quel tavolo di confronto sarebbero stati presenti ed attive anche l’Austria e la Germania (quella di Weimar, ovviamente, Hitler arriverà 5 anni dopo), le grandi sconfitte, per sentire la loro voce e prevenire le loro vendette o rivincite. Era semplice, con poche parole ma chiare.

Solo 3 articoli, i primi due essenziali:
«Articolo I: Le alte parti contraenti dichiarano solennemente in nome dei loro popoli rispettivi di condannare il ricorso alla guerra per la risoluzione delle divergenze internazionali e di rinunziare a usarne come strumento di politica nazionale nelle loro relazioni reciproche.
Articolo II: Le alte parti contraenti riconoscono che il regolamento o la risoluzione di tutte le divergenze o conflitti di qualunque natura o di qualunque origine possano essere, che avessero a nascere tra di loro, non dovrà mai essere cercato se non con mezzi pacifici.»

In pochi anni al Patto Briand-Kellogg (l’adesione poteva ovviamente essere anche successiva) aderirono ben 63 Stati. Quasi tutti i principali, se escludiamo l’URSS con Stalin ancora impegnato a consolidare il suo potere assoluto, tra una purga e l'altra.

L’entusiasmo della grande idea e forse la troppa fiducia nei vari governi (eravamo prima della crisi economica del 1929, della grande depressione che colpì il mondo intero, non solo gli USA) resero però limitato il successo dell’accordo.

Era troppo ‘libero’, non precedeva assolutamente sanzioni a chi poi – pur avendo aderito – non lo avrebbe rispettato. Vi era solo un pallido cenno nel ‘preambolo’ che presentava gli articoli: "tutti i Paesi firmatari che cercheranno di sviluppare gli interessi nazionali, facendo ricorso alla guerra, saranno privati dei benefici del presente trattato".

Troppo poco. Inoltre, la rinuncia alla guerra da parte di uno Stato aderente non riguardava il caso in cui fosse stato invaso ed attaccato da terzi. Il diritto alla difesa, usando la guerra, era sancito.

L’Italia fu tra i primi ad aderire, sin dalla firma del 27 agosto 1928, con ampio favore e convinzione di Mussolini. Il Conte Gaetano Manzoni, l’ambasciatore a Parigi, venne dotato dal Duce di idonee deleghe per raggiungere l’obiettivo e rafforzare così il prestigio dell’Italia (ma soprattutto di Mussolini) nel nuovo mondo ‘in pace’.

Ma Mussolini sarà anche uno dei primi colpevoli nell’insuccesso del Patto: il 3 ottobre 1935 invaderà l’Etiopia, tradendo ufficialmente i patti e le regole del Trattato. Lo seguirà poi Hitler - a quel tempo allievo del Duce – ma se non altro la sua Germania, ad ogni livello anche in politica estera, era ben lontana dalla Germania che aveva firmato ai tempi di Weimar.

Niente di nuovo per Mussolini: da una parte firma e propaganda ‘il trattato di rinuncia alla guerra’ e dall’altra parte, già il 24 agosto 1934, in piedi su un carro davanti a 3.000 nuovi ufficiali - la ’spina dorsale’ dell’esercito del futuro – grida senza creare malintesi, che “La Nazione deve essere pronta alla guerra non domani, ma oggi.”

Niente di nuovo per il prestigio internazionale dell’Italia, l’aggettivo di ‘voltagabbana’ o ‘l’oscar per l’incoerenza’ qualcuno ce lo aveva già assegnato ai tempi del Kaiser e di Francesco Giuseppe. Con Mussolini e dopo Mussolini quei concetti saranno confermati e ribaditi e a pagarne le spese sarà una nazione intera, nel giro di pochi anni.

Non tutti concordano sull’insuccesso del Patto Briand-Kellogg. E’ stato davvero importante ed apripista. Va persino sottolineato che nel Processo di Norimberga, il Tribunale Internazionale Militare, che giudicò i criminali nazisti, ebbe ufficialmente diritto di farlo e trovò la sua base giuridica, proprio negli accordi del Patto del 27 agosto 1928.

La Germania infatti lo aveva firmato e ratificato. Il Tribunale sentenziò infatti che “gli Stati, ratificando l'accordo di Parigi, avevano incondizionatamente condannato il ricorso alla forza come strumento politico, rinunciandovi così esplicitamente; ogni Stato che, dopo aver ratificato il Patto, avesse fatto ricorso alla guerra, avrebbe commesso un crimine.”

Questo per la Germania nazista. Vien da dire che per l’Italia del 1945 l’uscita di scena di Mussolini fascista ci salvò da altre conseguenze internazionali. Il Patto era del 27 agosto 1928, 97 anni fa, e sanciva la rinuncia alla guerra quale strumento di politica internazionale per redimere contrasti tra i vari Stati. E il 24 luglio 1929 entrava in vigore.

Oggi è il 24 luglio 2025, 96 anni dopo e dopo 3 anni e mezzo della nuova guerra in Europa, dove uno Stato ha cercato di risolvere i suoi problemi invadendo il vicino, di nascosto, senza interpellare gli Organi Preposti (ONU) proprio come fece Mussolini nel ‘35 e il suo allievo Hitler poco dopo. Forse da italiani, e ancora più da uomini, è meglio nascondere la data del 24 luglio 1929. Qualcuno potrebbe pensare che anziché andare avanti, stiamo come i gamberi tornando indietro. O meglio: siamo già indietro.

Chissà, se fossero qui oggi, cosa ne penserebbero Aristide Briand e Frank Kellogg.

E non possiamo nemmeno dire, a nostra difesa, che è il nuovo che avanza.

Chissà quando capiremo dove e perché ci siamo fermati nella strada verso la pace, iniziata da Aristide Briand e Frank Kellogg. Solo il tempo lo dirà. Nel frattempo dimentichiamo la data del 27 agosto 1928 e peggio ancora del 24 luglio 1929. Viva l’ignoranza storica e non solo.

24 luglio 2025 – 96 anni dopo – liberamene tratto dal mio ‘L’inferno è vuoto’ - ed. AliRibelli - 2023

23 luglio 2025 - 80 anni dopo

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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