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22 luglio 2025
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Rifugiati: ragazza incinta morta in Libia per mancanza di cure
di Anna Carla Amato

E' morta a Tripoli al nono mese di gravidanza Quftu Abu Wahelow, rifugiata etiope di 19 anni reduce da una prolungata prigionia, ripetuti stupri, violenze sessuali, torture fisiche, emotive e psicologiche e il totale abbandono da parte delle istituzioni incaricate di proteggerla.

Quftu era nata nel villaggio di Aje, in Etiopia. Quando era ancora in vita, ha raccontato che lei e la sorella maggiore avevano lasciato il villaggio dopo la morte del padre. La madre era troppo debole per provvedere a loro. Sperando di trovare lavoro e sostenere la famiglia, lei e la sorella si sono trasferite ad Addis Abeba dove alla fine del 2023 sono state catturate da un intermediario sudanese che le ha attirate con false promesse di lavoro.

Sono state trasportate oltre il confine in Sudan e poi vendute nelle mani di trafficanti in Libia. A Kufra, furono tenute prigioniere in un magazzino, vendute per 100.000 dinari libici ciascuna e sottoposte a stupri sistematici, percosse, fame e torture per oltre un anno.

Dopo un lungo periodo di trattative, il loro caso fu portato all'attenzione dell'opinione pubblica per la prima volta alla fine di ottobre 2024, quando erano tenute prigioniere a Kufra. Ci vollero mesi di trattative, sforzi coordinati di organizzazioni per i diritti e rischi personali per ottenere il suo trasferimento. Furono portate a Tripoli intorno all'inizio di giugno 2025, mentre lei era già nelle ultime settimane di gravidanza, fisicamente distrutta e mentalmente stremata. Una volta a Tripoli è stata presso l'ufficio dell'UNHCR (Agenzia per i rifugiati dell'ONU) di Tripoli più di dieci di volte, implorando cure mediche e la registrazione come richiedente asilo. Ogni volta veniva ignorata e le veniva detto di "prenotare un appuntamento online", un'istruzione crudele e insensata per una donna visibilmente incinta, traumatizzata e senza accesso a internet o a un riparo.

Quando è iniziato il travaglio, molti ospedali l'hanno rifiutata. Alla fine è stata ricoverata all'ospedale Shaara Zawiya, ma era troppo tardi e così è morta lì.

Quftu non è morta a causa della guerra o della malattia. È morta perché le è stata negata la protezione, perché era nera, donna, povera e sfollata. La sua morte è una conseguenza di violenza strutturale e negligenza umanitaria.

Sua sorella, ora a Tripoli, si trova in una situazione simile. Anche a lei vengono negati i servizi dell'UNHCR, nonostante l'urgenza della sua convocazione e i ripetuti contatti della nostra rete. L'organizzazione di volontari per i rifugiati in Libia che ha seguito Quftu chiede un intervento immediato per salvarle la vita.


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