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Sono un talebano e ne vado fiero
di
Soumaila Diawara
Quando l’ignoranza tocca l’abisso, risposta a Silvia Sardone, europarlamentare della Lega.
Come sempre: i leghisti si dimostrano tali, come si dice in Italia, chi nasce tondo non muore quadrato.
Ieri, nei commenti a un post sulla Palestina e su Francesca Albanese, Silvia Sardone ha pensato bene di offendermi chiamandomi “talebano”. Lo ha fatto con disprezzo, come se fosse un insulto, con la leggerezza di chi lancia parole cariche d’odio senza nemmeno sapere cosa significano davvero.
Ma no, non mi ha ferito, al contrario, ha solo mostrato fino a che punto può spingersi l’ignoranza quando si sposa col pregiudizio, e quanto possa diventare velenosa, tossica, pericolosa.
“Talebano”, nella sua radice araba talib (طالب), significa semplicemente studente, colui che cerca, chi desidera conoscere, nulla a che vedere con la caricatura grottesca e violenta che l’Occidente ha costruito attorno a quella parola.
Un talib è chi pone domande, chi osserva, chi ascolta, chi impara. E sì, se questo è ciò che intendeva, allora mi riconosco in pieno, sono uno studente della vita, un uomo in cammino, animato dalla sete di comprendere, fino all’ultimo respiro.
Ma quell’insulto non nasce nel vuoto, è il frutto avvelenato di una cultura politica che costruisce consenso seminando odio, semplificando il mondo fino a renderlo irriconoscibile.
È questa logica disumana, riduttiva, coloniale che voglio denunciare, perché a pronunciare quell’offesa non è stata una persona qualunque, ma una parlamentare europea, una figura istituzionale, una donna che siede nel cuore della democrazia.
Silvia Sardone, con i suoi discorsi impregnati di islamofobia, con i suoi slogan urlati contro l’altro, contro il diverso, non si limita a esprimere un’opinione, diffonde un virus, un’idea d’Europa costruita sul sospetto, sulla paura, sulla cancellazione dell’umanità dell’altro, un’Europa che ha smarrito il senso della propria storia, della propria cultura, della propria dignità.
Io non posso tacere, non posso far finta di nulla davanti a chi riduce interi popoli a una caricatura da combattere, davanti a chi crede che urlare sia più importante che capire.
Io so cosa c’è dall’altra parte del muro, ho vissuto nel mondo arabo, ho ascoltato, ho osservato, ho imparato, ho visto l’umanità negli occhi di chi ogni giorno viene disumanizzato da una narrazione tossica e cieca.
E voglio lasciarvi un pensiero, in arabo non esiste un verbo per dire “avere”, come in italiano, si dice letteralmente “ʿindī” – “presso di me” – perché tutto ciò che possediamo è temporaneo, la ricchezza è temporanea, il dolore è temporaneo, persino l’odio è temporaneo, e anche l’ignoranza lo è, se decidiamo davvero di uscirne.
Ecco perché, con fierezza e con amore per la verità, rivendico ciò che mi è stato detto per offendermi:
Sì, sono un ṭālib, uno studente, un cercatore, un uomo che non ha paura di imparare, ho paura solo di morire ignorante.
E a chi, come Silvia Sardone, vuole costruire muri invece di ponti, chiusura invece di dialogo, disprezzo invece di comprensione, dico:
Abbiate il coraggio di porvi domande, abbiate l’umiltà di imparare prima di giudicare, abbiate la dignità di rispettare ciò che non capite.
Se per voi cercare la conoscenza è un insulto, vi lascio volentieri il vostro rancore.
Io continuerò ad essere talib, con orgoglio, con dignità, con amore per la conoscenza, con rispetto per l’umanità.
 
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