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19 luglio, in memoria di Paolo Borsellino e Libero Grassi
di
Pino Maniaci
Il 19 luglio è un giorno importante per la storia d’Italia, infatti ricordiamo l’uccisione del giudice Paolo Borsellino. Ma il 19 luglio è anche il giorno in cui, nel 1924 nasceva uno degli uomini più rappresentativi della lotta alla prepotenza mafiosa: l’imprenditore Libero Grassi.
Il 19 luglio 1992, ol dottor Borsellino aveva pranzato con la sua famiglia a Villagrazia di Carini, poi nel pomeriggio era tornato a Palermo: «Vado da mia madre, a dopo». Gli ultimi momenti passati insieme.
Alle ore 16.58, quella bellissima domenica di sole si trasformò in un incubo, una Fiat 126 esplose in via D'Amelio prima ancora che il giudice potesse salutare la madre e la sorella Rita. Insieme a lui rimasero uccisi anche i suoi cinque agenti di scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Una carneficina.
«Il giorno che è morto – raccontava Agnese – gli hanno trovato le scarpe bucate. Una sua collega mi sussurrò: "Prendi le scarpe del matrimonio, mettiamo quelle". Lui le aveva conservate con cura in una scatola. Ma sono servite a poco, perché Paolo non aveva più le gambe, e neanche le braccia, il suo corpo era stato dilaniato dall'esplosione».
Lei se n'è andata il 5 maggio 2013, di domenica, come quel maledetto 19 luglio.
Passano gli anni e ancora oggi non sappiamo tutta la verità su quella strage. Del dottor Borsellino ci restano, però, tanti insegnamenti. Le sue idee non sono mai morte e continuano a camminare sulle nostre gambe e su quelle di tantissimi siciliani perbene.
Libero di nome e di fatto. Fino all'ultimo giorno di vita. Libero Grassi era un imprenditore nato e cresciuto in una famiglia di antifascisti. Nel 1991, come tanti altri commercianti, venne preso di mira da Cosa nostra che cominciò a chiedergli delle offerte "per i picciotti chiusi all'Ucciardone". Ma lui non si lasciò intimidire ed ebbe il coraggio di denunciare.
Lo minacciarono di fargli saltare la fabbrica in aria, cercarono di spaventarlo in tutti i modi. E lui, dopo aver respinto l'ennesima richiesta di pizzo, mise nero su bianco il suo "no" in una lettera indirizzata ai mafiosi: "Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere".
Quelle parole, purtroppo, gli costarono la vita: il 29 agosto dello stesso anno, il 1991, venne ucciso con quattro colpi di pistola mentre si stava recando al lavoro. Erano le sette e mezza di mattina.
Le sue battaglie non morirono quel giorno: furono portate avanti da Pina, la moglie, anche all'interno delle istituzioni. Lei si spense nel 2016.
 
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