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19 luglio 2025
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Tajani, ministro degli affari esteri... israeliani
di Raffaele Florio

C’è una sottile ma costante linea rossa che collega tutte le uscite pubbliche di Antonio Tajani sul massacro di Gaza: la complicità.

Il nostro ministro degli Esteri — pardon, ministro dell’Estero, perché a guardarlo bene sembra più rappresentante dell’ambasciata israeliana a Roma che della Farnesina — riesce a indignarsi solo quando una bomba colpisce una chiesa cattolica. Fosse per lui, le moschee possono continuare a crollare tra le urla e il sangue, giorno dopo giorno, senza che la sua voce si alzi neppure per cortesia diplomatica.

L’ultima esternazione riguarda proprio il bombardamento israeliano di una chiesa. Tajani, come un parrocchiano zelante ma distratto, si è risvegliato dal silenzio liturgico per ricordare al mondo che «i luoghi di culto vanno rispettati». Giusto. Peccato che, per mesi, lo sterminio dei civili palestinesi dentro scuole, ospedali e — guarda un po’ — moschee, non l’abbia mai sfiorato.

Non una parola, non una condanna. Solo “comprensione”, “amicizia”, “sostegno incondizionato”. Un po’ come dire: se Israele bombarda, avrà le sue buone ragioni. Del resto, lui è lo stesso Tajani che, il 26 gennaio 2024, quando la Corte Internazionale di Giustizia ha avviato un processo per genocidio contro Israele, ha subito preso parte… ma non quella dei giudici. No: quella di Netanyahu.

Il 12 febbraio, intervistato da Radio 1, ha dichiarato di «comprendere» la decisione di Netanyahu di vietare l’ingresso nei territori palestinesi a Francesca Albanese, relatrice speciale ONU sui diritti umani. Anziché tutelare una cittadina italiana sottoposta a minacce e delegittimazioni da parte di un governo straniero, Tajani ha preferito allinearsi con l’accusato.

Il 19 maggio, quando il procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha chiesto un mandato d’arresto per crimini di guerra contro Netanyahu, il nostro ministro si è stracciato le vesti: “Inaccettabile!”. Inaccettabile che si applichi il diritto anche agli alleati. Inaccettabile che qualcuno osi processare chi bombarda impunemente.

Ma il capolavoro è del 12 gennaio 2025. Intervistato da Report, Tajani riesce a superare sé stesso: «Israele non ha commesso crimini di guerra». In un colpo solo smentisce la Croce Rossa, le Nazioni Unite, Human Rights Watch, Amnesty International, la Corte dell’Aja, il Vaticano e probabilmente anche il catechismo. Perché a Gaza, per Tajani, l’unico peccato è disturbare l’occupante.

E poi, il colpo di grazia: il 15 gennaio, annuncia che l’Italia non eseguirà l’eventuale ordine internazionale di arresto di Netanyahu. Dunque, se il leader israeliano mettesse piede sul suolo italiano con un mandato pendente dell’Aja per crimini contro l’umanità, l’Italia – Stato membro dell’Onu e firmatario dello Statuto di Roma – lo proteggerebbe. Siamo tornati al tempo dei dittatori amici.

Tajani è quello che chiama “pace” l’obbedienza, “amicizia” l’asservimento, “diplomazia” l’omertà. È il ministro degli Esteri che ha gettato la nostra politica estera sotto i carri armati della complicità. L’ipocrisia, ormai, è il suo passaporto. E la vergogna, il nostro visto d’ingresso nel club dei Paesi servili.

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