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Provocazione: a Hebron Israele affida la moschea ai coloni
di
Leandro Leggeri
Una nuova mossa israeliana ha sollevato l’indignazione palestinese e acceso l’allarme tra difensori del patrimonio culturale: Tel Aviv ha avviato il trasferimento dell’autorità amministrativa della Moschea Ibrahimi – uno dei luoghi più sacri dell’Islam – dal Comune palestinese di Hebron al consiglio religioso del vicino insediamento coloniale di Kiryat Arba.
La notizia, diffusa da Israel Hayom e rilanciata da diverse testate internazionali, è stata definita “senza precedenti” per la portata del cambiamento, il più significativo dal 1994, anno del massacro perpetrato da Baruch Goldstein e della successiva spartizione forzata della moschea tra musulmani ed ebrei.
Secondo fonti locali, la decisione equivale a una requisizione coloniale mascherata da burocrazia, con cui Israele mira a normalizzare la presenza degli insediamenti illegali all'interno della città vecchia. Hebron è già una città simbolo dell'apartheid: oltre 1.000 soldati israeliani proteggono poche centinaia di coloni, mentre i palestinesi subiscono restrizioni quotidiane su movimento, culto e accesso.
Il Ministero palestinese per gli Affari religiosi ha definito l’azione una “grave violazione del diritto internazionale” e una “palese provocazione religiosa”. Il sindaco di Hebron, Tayseer Abu Sneineh, ha parlato di “esproprio religioso e culturale”, accusando Israele di voler cancellare ogni traccia della storia islamica del sito.
Nonostante la Moschea Ibrahimi sia sito UNESCO dal 2017, la comunità internazionale – finora – non ha reagito pubblicamente a questa nuova escalation. Le autorità palestinesi chiedono l’intervento urgente dell’UNESCO e dei Paesi arabi per fermare un piano che, nei fatti, lega un luogo sacro musulmano alla gestione coloniale israeliana.
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