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Il manifesto della razza
di
Rinaldo Battaglia *
In Italia – anche 80 anni dopo - pochi conoscono e pochi vogliono conoscere la ‘Shoah di casa nostra’. Si teme di toccare un tasto alquanto dolente della storia ‘patriottica’ del nostro paese. Si ha paura che gli italiani, di oggi, vengano a sapere se e quanto l’Italia di allora, di quel tempo, abbia avuto per davvero colpe e responsabilità nella Shoah.
Ma l’Italia di allora non ha avuto colpe o responsabilità nella Shoah. No, no. Diciamolo pure. NO, non ha avuto colpe e/o responsabilità, perché ha avuto IMMENSE COLPE ed ENORMI E GIGANTESCHE RESPONSABILITA’. Solo che siamo così intellettualmente disonesti che non vogliamo ammetterlo, ma nemmeno saperlo e, peggio ancora, esserne informati.
(...) In Italia le persecuzioni contro gli ebrei furono decise, promulgate, legalizzate da Benito Mussolini e dal suo regime fascista. Le leggi razziali (e tutto il ‘contorno’, iniziando dal ‘Manifesto della Razza’ del 15 luglio 1938, ben 87 anni fa) furono emanate ben prima dell’occupazione tedesca post 8 settembre 1943. Gli ebrei italiani erano stati perseguitati ‘legalmente’ prima dagli uomini del Duce, poi da quelli del Fuhrer.
E ci fermiamo qui perché - se vogliamo essere completi storicamente – le prime leggi contro gli ebrei in Italia potrebbero risalire al ‘regio decreto’ n. 1227 del 28 agosto 1931 se non addirittura al precedente ‘regio decreto’ n. 1731 del 30 ottobre 1930. E a quel tempo Mussolini – ricordiamolo - era già il Duce e Hitler non era per nulla il Fuhrer, ma solamente un suo fan che cercava di imitarlo, copiarlo, clonarlo. Il ‘tumore’ era nato in Italia e poi traslato in Germania, non viceversa.
Poi Hitler recuperò tempo e spazio, ma il Duce lo rincorse sin da subito nella gara verso il baratro.
Già il 19 aprile 1937, del resto, Mussolini aveva promulgato nell’Italia fascista il Regio Decreto Legislativo numero 880, poi convertito in legge il 30 dicembre 1937. Tale provvedimento, anticipato da un articolo del ministro coloniale Alessandro Lessona pubblicato sul quotidiano “La Stampa” e intitolato 'Politica di razza', venne denominato “Sanzioni per i rapporti d’indole coniugale tra cittadini e sudditi” e rappresentò il primo strumento di difesa della razza, vietando il matrimonio tra italiani e persone appartenenti alle popolazioni autoctone dei territori oggetto di conquista coloniale.
Non solo. Come bene sappiamo il calcio in Italia è sempre stato alla base del principio 'panem et circenses' e ogni potere all'occasione ha sfruttato i vantaggi offerti dal 'dio pallone'. Mi ricordo il 'decreto salva-ladri' - con cui il governo Berlusconi tramite il ministro Alfredo Biondi, nel luglio 1994, aprì le porte ad oltre 2.750 detenuti di cui almeno 350 arrestati per Tangentopoli - firmato la sera in cui Roberto Baggio aveva fatto attirare tutte le attenzioni nazionali in una partita contro la Nigeria. Il giorno dopo si parlava solo del 'divin codino' (anch’egli vicentino peraltro) e nessuno, o quasi, del decreto capestro appena promulgato.
Ebbene in quel 19 aprile 1937 anche il calcio venne sfruttato da Mussolini, quale veicolo per insegnare qualcosa.
L'Italia calcistica era in festa: tre anni prima era diventata per la prima volta Campione del Mondo, un anno dopo si ripeterà e in quel preciso momento il calcio raccoglieva attenzioni, consensi ed onori in Patria.
Il Duce sfruttò tutto quel vento favorevole e con quel decreto 880 vietò le partite di calcio tra italiani e 'razze inferiori'.
Cos'era successo?
In Etiopia i nostri ragazzi, lì invitati a conquistare l'Impero, a tempo perso, giocavano a calcio coi ragazzi di colore 'autoctoni'. E la cosa non poteva piacere, perchè la regola base del calcio sta nella dignità ossia 'pari diritti/doveri' tra le due squadre che giocano. Non poteva andare bene: i ragazzi del luogo erano razza inferiore, non a pari livello degli italiani.
In quella giornata si ribadì la vigliaccheria del razzismo che - parole del Duce - era "base fondamentale del fascismo sin dal 1919". E si consolidò il concetto non che ‘il fascismo sia razzista’ ma meglio che ‘il razzismo sia fascista’.
E tutto allora passò liscio, tra la colpa del regime e il silenzio di tutti gli altri. Poi la strada proseguì e si arrivò alle leggi razziali del '38 e ai treni del Binario 21.
Anche il calcio quel giorno si sporcò di sangue.
E arriviamo quindi alle ‘cosiddette’ leggi razziali del ’38. Peraltro, al plurale perché sono varie, più di una, e vanno dal 5 settembre al 17 novembre 1938. Del resto – lo si sa - il furto dei diritti va fatto a rate, la libertà va tolta a piccole dosi così la gente non se ne rende bene conto. In quel modo i fascisti crearono, con la “negazione dei diritti” degli ebrei, un humus ideale dove poi si avrebbe potuto, con facilità, coltivare e raccogliere i frutti attesi.
E agendo su due fronti, come solo poco prima aveva fatto il Fuhrer in Germania: un percorso ‘teorico’ sulla propaganda e un percorso ‘pratico’ sulla ‘spogliazione’, sulla rapina, sulla ‘de-patrimonializzazione’ dei beni degli ebrei a favore dei ‘ras’ del fascismo. Hannah Arendt diceva, con la sua poesia, che la shoah era guerra e la guerra ‘non restaura diritti ma solo ridefinisce poteri e ridistribuisce ricchezze’.
Sul fronte della propaganda col ‘Manifesto della Razza’ del 15 luglio 1938 e poi con la nascita il 5 agosto 1938 del megafono del razzismo italiano – la rivista ‘La Difesa della Razza’ – Mussolini puntò molto su una visione ‘razzistica-scientifico-biologica’ per affermare che gli ebrei (come gli slavi, rom etc) erano scientificamente e biologicamente inferiori. E fu grande propaganda, perché dal 1° ottobre ‘38 il ministro Bottai rese obbligatoria ai ragazzi la lettura a scuola di quella rivista infame, di cui peraltro dal 20 settembre direttore responsabile e editoriale divenne, per ordine del Duce, l’astro nascente dal razzismo fascista italiano: un certo Giorgio Almirante. E farà strada.
15 luglio 2025 - 87 anni dopo - liberamente tratto dal mio 'L'ultimo viaggio da Vò Vecchio ad Auschwitz'- ed. AliRibelli - 2024
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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