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Il leone di Munster
di
Rinaldo Battaglia *
Il 13 luglio del 1941, un piccolo vescovo tedesco - Clemens August von Galen - dalla Cattedrale di Münster denunciò a voce alta per primo in Germania, con forza e convinzione, le atrocità commesse dal nazismo nel suo paese verso gli ebrei. Ma non solo.
Fu il primo. Era il 13 luglio 1941, la grande Soluzione Finale – dopo la notte di Wannsee del 20/21 gennaio 1942 - doveva ancora avvenire.
Decise di intervenire cercando di risvegliare le coscienze e far aprire gli occhi ai tedeschi contro la grande truffa che era il nazismo, una potente droga che si era impossessata di tutti loro.
Parlò di Hitler, dettagliò notizie sulla Gestapo, riferì delle sistematiche violenze ed atrocità del regime, profetizzò “la rovina del popolo tedesco e della patria, destinati a perire per putrefazione interna”.
Un mese dopo, il 6 agosto, sempre dal pulpito della Cattedrale spiegò chiaramente cosa volesse dire il programma “Aktion T4”, mai ufficialmente dichiarato dal regime ma dal 1933 di fatto già praticato. Andò oltre. Chiese che fine facessero chi cadeva in quella criminale pratica: “dove spariscono padri, madri, disabili” e perché alle famiglie di quei disperati – ‘vite indegne di esser vissute’ per il nazismo - arrivassero a casa sempre e solo le ceneri dei loro cari.
‘Che cura era questa?‘.
Parlò sui concetti del “Mein Kampf” e la colpa di ‘equiparare gli esseri umani a macchine o animali che, una volta terminato il loro ciclo produttivo, venivano destinati alla demolizione o macellazione a seconda dei casi’, come scrissero più storici.
Quel giorno, concludendo l’omelia, chiese ai fedeli presenti alla Messa: “Che fine faremo noi quando saremo vecchi? Che fine i nostri soldati rientrati mutilati dal fronte?”
Fu il primo alto prelato in Germania. Era il 6 agosto 1941, la grande Soluzione Finale doveva ancora avvenire, la grande catastrofe si poteva ancora fermare.
E spaventò il Terzo Reich. Uno dei vertici del regime, quale Martin Borman, capì la forza del piccolo grande Vescovo di Münster: “Questo prete che chiamo il porco C.A., Clemens August, è un traditore della patria e va impiccato!”.
Ma il piccolo grande Vescovo stava diventando troppo forte. La sua verità era diventata un’arma pericolosa. Aveva reagito.
Hitler non volle farlo diventare un eroe, un martire. Il conto gli sarebbe stato presentato solo a guerra finita. E, parole del Fuhrer, Clemens August von Galen avrebbe allora pagato “sino all’ultimo centesimo di marco”.
Ma quella volta a sbagliare i conti fu Hitler. Non sapeva che quell’uomo – sì... ‘uomo’ - al momento della sua consacrazione episcopale, aveva scelto un motto che al tempo stesso era un programma politico: “Nec laudibus, nec timore” (‘né per le lusinghe, né per le minacce’).
E poco importava se a minacciare o lusingare fosse il nazismo di Hitler o, da noi, il fascismo di Mussolini.
Il ‘porco C.A., Clemens August’, il leone di Münster, era nato 63 anni prima, terz’ultimo di 13 figli, da genitori ricchi e aristocratici e convintamente cristiani e praticanti. A 26 anni era già prete, 19 anni dopo già vescovo di Münster. Era il 28 ottobre nel 1933, stesso anno in cui Hitler prese il potere. 11 anni prima nella stessa data, in Italia – a cui era molto legato – l’ispiratore del Fuhrer aveva fatto lo stesso con un colpo di Stato.
Ma già nel Natale del ‘33 dalla sua diocesi e sempre dal pulpito della Chiesa segnalò le prime violenze naziste e con esse le violazioni delle norme del ‘Reichskonkordat’ (il concordato tra Hitler e la Chiesa di Roma valido per la Germania, fotocopia perfetta del Concordato tra Mussolini ed il Vaticano dell’11 febbraio 1929) in merito all'insegnamento della religione cattolica nelle scuole, i cui docenti dovevano essere approvati dal vescovo locale. E qui, allora, si era mosso finalmente nella protesta anche il Segretario di Stato del papa Pio XI, il card. Eugenio Pacelli, e futuro Papa Pio XII.
Subito, nel 1941, le omelie del vescovo von Galen vennero diffuse clandestinamente in tutta la Germania, sia da gruppi cattolici, ma anche da luterani e da ebrei. Tra il 4 e il 5 novembre dello stesso anno, persino aerei alleati fecero piovere sul suolo tedesco (in Vestfalia) volantini con il testo dell'omelia del 13 luglio. Il 9 novembre Goebbels pronunciò un minaccioso ammonimento pubblico contro il vescovo, ma senza andare oltre. Vennero invece arrestate centinaia di persone che diffondevano le sue omelie.
L'8 giugno del 1943 il New York Times dedicò un articolo al vescovo von Galen, definendolo «l'oppositore più ostinato del programma nazionalsocialista anticristiano».
Anche Pio XII se ne accorse: in ritardo ma se ne accorse. Il 13 settembre 1943 - 5 giorni dopo l’armistizio di Cassibile - venne nominato dal Papa ‘prelato domestico di Sua Santità’.
Poco dopo il vescovo iniziò a prendere contatti con la resistenza interna al nazismo per contribuire alla fine di quel crimine.
Finì la guerra e sopravvisse alla resa dei conti del Fuhrer, ma un’improvvisa peritonite lo uccise il 22 marzo 1946 e per la nuova Germania e per il mondo fu ‘troppo presto’.
Solo due mesi prima – il 6 gennaio 1946 – aveva lasciato nella sua ultima omelia forse il suo testamento:
«Sotto il nazismo dissi pubblicamente, e lo dissi anche riguardo a Hitler nel '39, quando nessuna potenza intervenne allora per ostacolare le sue mire espansionistiche: la giustizia è il fondamento dello Stato. Se la giustizia non viene ristabilita, allora il nostro popolo morirà per putrefazione interna. Oggi devo dire: se tra i popoli non viene rispettato il diritto, allora non verrà mai la pace e la giustizia tra i popoli”
Parole ancora oggi di immenso valore: ‘se tra i popoli non viene rispettato il diritto, allora non verrà mai la pace e la giustizia tra i popoli”.
Era un piccolo grande vescovo, ma prima ancora un uomo vissuto “Nec laudibus, nec timore”.
E sarà un Papa tedesco Benedetto XVI il 9 ottobre 2005 a dichiararlo ‘beato’.
Morì a 68 anni e per la nuova Germania e per il mondo fu sempre ‘troppo presto’.
13 luglio 2025 – 84 anni dopo
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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