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Un fascista in crisi di coscienza
di
Roberto Neri
Questa storia di legittima difesa, persecuzione e redenzione potrebbe iniziare da Firenze, così; il pomeriggio del 12 luglio 1921, all’angolo di via dei Pilastri con l’elegante via Farini, tre giovanissime camicie nere entrano spavalde nella calzoleria di Mario Garuglieri, un artigiano di 28 anni capace di creare scarpe eccellenti.
I tre non solo lì per un paio di nuove calzature. Impugnano i manganelli. Mario e il suo lavorante 21enne Corti, due noti comunisti, impugnano anche loro, istintivamente, gli affilati trincetti che usano per lavorare le pelli. Quando le manganellate iniziano a piovere, i due scattano verso l’uscita facendosi largo coi trincetti, e iniziano a correre.
Fuori c’è il resto della banda, però; si chiama “la Disperata” e la comanda il famigerato Amerigo Dumini, con l’accento sulla “u”. Sono una dozzina. Garuglieri e Corti non hanno scampo, né testimoni a favore. Vengono catturati poco lontano; un terzo lavorante ha solo 13 anni, e non potrà raccontare cosa ha visto.
Invece i miliziani della Disperata, nei processi ai due calzolai, racconteranno a modo loro quanto successo. L’accusa per Garuglieri e Corti sarà di omicidio e ferimento; infatti le due camicie nere che li pestavano sono rimaste ferite nello scontro, con le pance lacerate dai trincetti. Una, Amadio Cimini, non grave, se la caverà. L’altra, Annibale Foscari, 18 anni, morirà tre giorni dopo.
Foscari, detto “il contino” non è un fascista qualunque. Studente, figlio di una delle più storiche e nobili famiglie di Venezia, è già stato volontario nella controversa “impresa” di Fiume al seguito di D’Annunzio, finita male sei mesi fa, ed ora milita nella famigerata squadraccia Disperata; forse voleva dimostrare il suo valore affrontando i due calzolai.
Garuglieri e Conti resteranno in galera per mesi in attesa di giudizio. Intanto comincerà il regime fascista, e la magistratura, già clemente coi fuorilegge di Mussolini, sarà condizionata dal nuovo governo, e dalla presenza in aula di minacciosi camerati. I calzolai invocheranno la legittima difesa, ignorata dai giudici, che li condanneranno a pene spropositate.
Alcuni squadristi testimoni parleranno di canzoni “sovversive” udite provenire dalla calzoleria mentre “casualmente” passavano dì lì, altri di aggressione proditoria iniziata dai due artigiani, altri ancora di un quadro di Lenin appeso in negozio. Tutte provocazioni che loro non potevano tollerare.
Un solo fascista cercherà di raccontare il vero; è un 26enne, un pittore aderente al Futurismo che sta diventando famoso, il suo studio dista poco dal negozio di Garuglieri, del quale è amico e ne apprezza il temperamento di comunista. Si chiama Ottone Rosai.
Convocato come teste a favore, nel 1923, quando ormai ha pubblicamente appeso al chiodo la camicia nera, sia per motivi familiari, sia per l’ingiustizia del caso Garuglieri, entrando in aula dovrà passare tra due ali di camerati che lo minacceranno di morte, se parlerà.
Non servirà intimidirlo perché non appena Rosai inizierà la testimonianza, accennando a cosa ha visto e tentando di parlare bene del suo amico artigiano, il giudice lo caccerà.
Poche sere dopo Rosai sarà aggredito al caffè di piazza Strozzi dai tirapiedi di un altro famigerato fascista della Firenze di quegli anni, Tullio Tamburini, peraltro suo ex caposquadra, e bastonato.
L’artista ormai ha deciso, e chiuderà col movimento di Mussolini, per sempre.
Nei mesi estivi del 1924, tra il rapimento del deputato socialista Giacomo Matteotti e il ritrovamento dei suoi resti, Rosai agirà da spericolato antifascista, incollando manifestini di protesta contro il regime alla base di una statua del David a piazzale Michelangelo.
Sebbene fosse stato uno squadrista presente e attivo anche in tragiche spedizioni (in una, dieci giorni prima dell’agguato ai calzolai, aveva pestato un parlamentare), Rosai continuerà la sua maturazione come oppositore del Duce, operando in clandestinità da indipendente del partito repubblicano, e partecipando poi alla Resistenza.
Anche lo stile di Rosai pittore risentirà già nei primi anni Venti della sua crisi di coscienza, e virerà verso un’arte più naturale, composta ma espressiva. Due sue grandi opere, molto conosciute, campeggiano ancora sulla parete del bar della stazione fiorentina di Santa Maria Novella.
 
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