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09 luglio 2025
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Il monaco di Roma
di Rinaldo Battaglia *

Che ‘l’abito non faccia il monaco’ è oramai storia consolidata, la cui origine credo nasca sin da quando Sant’Antonio Abate, prima dell’anno 300, aprì la strada al ‘monachesimo cristiano’. Anche durante l’ultima guerra mondiale e nel suo immediato prosieguo abbiamo avuto casi che lo confermano. Il ‘falso monaco’ Otto Wächter ne è uno di importante. Anche se da noi nessuno lo conosce. Eppure, anche noi italiani siamo stati parti in causa.

Il barone Otto Gustav von Wächter era nato nella Vienna imperiale ai tempi di Francesco Giuseppe l’8 luglio 1901. Ma sarà con l’arrivo al potere di Hitler che comincerà a farsi notare, in quanto nazista, razzista e antisemita convintissimo. Il 25 luglio 1934 nella sua Vienna sarà nel gruppo di assassini che fecero fuori il cancelliere Engelbert Dollfuss, aprendo così la strada all’Anschluss dell’Austria da parte del Fuhrer. Abbandonerà a seguire l’avviata professione forense e si dedicherà anima e corpo al nazismo, fino a diventare un importante Gruppenführer (generale) delle S.S. ed in particolare in uno dei corpi più assassini (le Waffen-SS).

Un barone rosso, un barone rosso di sangue insomma. È la sua carriera sarà rapida, forte, convinta.

Il 20 gennaio 1942 non era fisicamente presente a Berlino nella famosa villa che si affacciava sul dolce lago Grosser Wannsee, ma fu uno dei 4 criminali che aveva predisposto ed organizzato, con Himmler, Heydrich ed Eichmann, l’operazione “Reinhard”, quella passata alla storia come la ‘Soluzione finale’, quella che provocò subito la morte di 2 milioni di ebrei polacchi. Due milioni di uomini, donne, soprattutto bambini: un terzo della Shoah. 2 milioni di ebrei polacchi perché, già dall’inizio dell'occupazione nazista della Polonia, venne nominato dal Fuhrer quale governatore del distretto di Cracovia allora parte del Governatorato Generale e del distretto della Galizia (ora per la maggior parte compresa nel territorio dell'Ucraina).

Fu Otto Gustav von Wächter ad ordinare l’espulsione da Cracovia ed il massacro, già nel 1940, di oltre 68.000 ebrei e fu sempre sua la scelta di creare, nel 1941, il ghetto di Cracovia per accogliere i 15.000 ebrei rimanenti nella città, lì parcheggiandoli in attesa che fossero pronti i vicini lager di sterminio. Fu parte viva anche nel massacro del ghetto di Leopoli nel 1942 e uno dei carnefici della madre di Simon Wiesenthal. Anche per questo nell’immediato dopoguerra sarà ricercatissimo da quello che diventerà, per scelta di vita, il più grande “cacciatore di nazisti”.

Secondo studiosi e storici affermati, quali ad esempio Guy Walters in “Hunting Evil. Intrigue: the Ratline” quantifica in oltre 500.000 le persone uccise dall’attività politica e militare del nazista Otto Gustav von Wächter, come tutti i generali del Fuhrer, con potere di vita e di morte su milioni e milioni di altre persone. Ma non solo: a guerra finita, già il 28 settembre 1946 il nuovo governo polacco richiese subito al governatore militare della zona amministrata dagli Alleati (USA) la sua estradizione al fine di per poterlo giudicare, in via autonoma, dei "crimini di guerra, sparatorie ed esecuzioni" commessi nel ‘suo’ distretto della Galizia. E di prove contro il gen. von Wächter ne avevano a iosa. A volte simboliche quale, ad esempio, un libro ricevuto nel 1944 per il suo 43° compleanno direttamente, e con tanto di firma, da parte del suo capo, amico e confidente Heinrich Himmler.

Oppure una sua lettera inviata alla moglie Charlotte il 29 agosto 1942, in cui si lamentava di non aver tempo per dedicarsi ad un po’ di svago e di sport: “Non c’è molto lavoro in giro. Gli ebrei vengono deportati in numero crescente ed è difficile per questo procurarsi la terra per il campo da tennis”.

Siamo a quello che più tardi Hannah Arendt chiamerà, con parole semplici quanto perfette, “la banalità del male”. Il problema che preoccupava criminali come von Wächter, durante la Shoah in terra di Polonia, stava nel fatto che dovendo eliminare migliaia di ebrei sarebbe inevitabilmente diminuito il numero di lavoratori ebraici prima impegnati nella ‘manutenzione dei campi da tennis’. Forse siamo anche oltre la banalità del male.

Eppure, nell’immediato dopo guerra von Wächter era ricercatissimo da tutti e invece per oltre 3 anni, dopo la morte del suo Fuhrer e la resa della sua Germania, già dal maggio ‘45 si era nascosto in alcune capanne e baracche nelle Alpi austriache. E quelle zone e quelle valli erano costantemente perlustrate dalle truppe britanniche e americane, alla continua ricerca di criminali nazisti, ma mai, mai venne trovato. Quando però le maglie si stavano stringendo troppo e probabilmente in ottica di stringergli dopo una corda al collo, come molti suoi amici processati a Norimberga, sparì completamente.

E se nella primavera del ’48 hai tutti che ti cercano, militari alleati, giudici polacchi, cacciatori di nazisti più o meno regolari, ‘bounty killer’ più o meno irregolari – tutti e tutti con più che giuste motivazioni – dove puoi scappare?

In quel periodo c’era una strada affermata, una via sicura, un ‘organizzazione protetta e perfetta, che tutti conoscevano e a cui tutti lasciavano fare. La vaticana Rat-line o più banalmente la ‘Via dei topi’ del vescovo di Pio XII, Alois Hudal. Bastava avere soldi e referenze. Non importava quanti crimini tu avessi commesso, quante vite tu avessi distrutto: contava quanto contavi, contava quanto potevi pagare.

E allora, subito la strada verso Roma tii si apriva, come a suo tempo le acque del Nilo si sono aperte per salvare Mosè e i suoi fuggitivi. Talvolta, perfino, non servivano subito soldi propri e personali: se eri stata una star qualcuno ti avrebbe finanziato (chiamato sistema ODESSA, ma sempre negato da tutti i beneficiari) e tu poi rimborsavi con calma i creditori. Una specie di credito al consumo.

Sempre lo stesso storico Guy Walters, anni dopo, dirà che, quando riuscì ad intervistare un altro fuggitivo, quale Erich Priebke, che era riuscito a filarsela con la Rat-line in Argentina dopo la guerra, alla domanda se esistesse un’organizzazione come ODESSA o di quel tipo, questi rise e disse che lo avrebbe desiderato ma era arrivato in Sud America senza un soldo. Senza un soldo, ma poi visse beatamente e con altri profitti per quasi 50 anni. Chi conosce ‘Colonia Dignidad’ sa cosa si vuol dire.

Diverso dal caso Priebke fu, invece, l’esperienza di Otto Gustav von Wächter. Arrivato a Roma nell’estate ’48 (date probabili, mai documentate o accertate ovviamente) ed in attesa del biglietto per il Sud America visse tranquillamente come monaco in un convento e orfanatrofio (Istituto di Carità Vigna Pia) in Via Portuense, gestito sempre ovviamente dal solito Vescovo Hudal. Era ricercatissimo, eppure era vestito da monaco a Roma. Chissà come mai.

Peraltro, anni dopo, la moglie Charlotte ammise di averlo, in quel periodo “monastico”, più volte incontrato su un altro lago – meno freddo del Grosser Wannsee - quello di Castelgandolfo, e probabilmente non è ipotizzabile solo per pregare. Del resto, era giusto – già prima dei tempi di “Bocca di Rosa” – unire il sacro col profano. Soprattutto a Castelgandolfo, dove il Papa risiedeva d’estate.

Ma gli imprevisti avvengono per tutti, uomini e demoni. In attesa di partire verso le spiagge tropicali, nella calda estate del 1949, poco dopo aver festeggiato da monaco l’8 luglio i suoi 48 anni, Otto Wachter ebbe delle gravi e improvvise disfunzioni a un rene. Fu tranquillamente portato – come è giusto che fosse – all’Ospedale Santo Spirito di Roma, con un nome di fantasia (Alfredo Reinhardt, forse in ricordo alla famosa operazione), ma il giorno 14 luglio vì morì.

Era ricercatissimo da tutto il mondo, pianeti e satelliti del Sistema Solare compresi. Criminale di guerra a Norimberga, monaco francescano a Roma, turista innamorato a Castelgandolfo, sotto gli occhi del Papa Pio XII.

Ma non ditelo in giro, non fa piacere nemmeno oggi che si sappia. 8 luglio 2025 – 125 anni dalla sua nascita

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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